Tolstoj diceva che se non hai avuto almeno una crisi mistica prima dei trent’anni sei un cretino. O forse era Jim Morrison. Insomma, chi per uscire dall’empasse esistenziale o anche solo per darsi una calmata non ha mai pensato alla meditazione, allo yoga, al buddhismo… a quelle robe là. Che sia un tentativo serio o un guilty pleasure spirituale c’è un problema: il buddhismo e la meditazione sono dannatamente complicati e non si capisce niente. Per fortuna Francesco D’Isa su queste cose complicate ci ha appena scritto un libro sopra (Introduzione alla meditazione, Tlon editore), e noi vogliamo capirci qualcosa.
All’inizio del libro dici «l’essenza dell’insegnamento di Buddha è che la vita fa schifo, almeno finché non si scopre attraverso la meditazione che lo schifo non esiste». Perché la vita fa schifo, e in che senso lo schifo non esiste?
Per il buddhismo la vita fa schifo perché è fondamentalmente dolore. Noi pensiamo di provare dolore perché qualcosa ci affligge. Il buddhismo ci dice che il dolore è anche legato al desiderio. A differenza di noi occidentali i buddhisti considerano il desiderio un meccanismo di frustrazione: desidero una cosa, la ottengo, una volta ottenuta ne desidero un’altra; così via finché non muoio, senza contare che quello che ho ottenuto comunque lo perderò. Ovviamente la mia era una provocazione, ma vista così, la vita fa effettivamente schifo.
E quindi? Cosa diavolo possiamo farci ?
Come prima cosa dobbiamo rendercene conto. Rendersi conto di come funziona il dolore sono la prima e la seconda nobile verità del buddhismo. Le altre verità (quelle più difficili) sono che ci si può affrancare da questo dolore, da questo ciclo inesauribile di sofferenza.
E come?
Parte dell’affrancarsi è riconoscere che questo ciclo tutto sommato non esiste. Che questo ciclo si autoalimenta, che il desiderio nutre sé stesso. Attraverso la meditazione, ti liberi da questo meccanismo, esci dal circolo del desiderio.
E perché non ci precipitiamo tutti a meditare?
In molti già lo fanno. Il problema è che in occidente abbiamo assimilato la meditazione come mindfulness, una forma impoverita dagli elementi filosofici del buddhismo. Anche se la tecnica è più o meno analoga, il setting e il contesto culturale contano e non possono essere trascurati. La mindfulness è una tecnica di rilassamento, di gestione dell’ansia, di benessere psicofisico, eccetera. Ma queste sono solo conseguenze della meditazione, che tra l’altro, ha anche un sacco di effetti collaterali problematici.
Ah sì? Quindi non si diventa subito più felici quando si inizia a meditare?
In ogni percorso spirituale c’è quella che viene chiamata nel cristianesimo “la notte oscura dell’anima”. Diciamo anche che meditare è una cosa impegnativa, che spesso viene spacciata come una panacea a tutti i mali. È successo anche con lo yoga; le āsana, le posizioni dello yoga sono una piccola percentuale del percorso yogico, solo una parte della prassi, che in realtà fa parte della meditazione. Noi invece lo abbiamo importato trattandolo come una ginnastica posturale che ci fa stare bene e in salute, che è vero tra l’altro, perché anche quello è un effetto collaterale dello yoga, però ecco noi abbiamo preso come risultati gli effetti collaterali, e questo effettivamente è molto fuorviante. Certo essere in salute non è da buttar via. Inoltre, il fatto che oggi la meditazione sia socialmente accettata e che uno che dice di meditare non si sente dare dello scemo, non è male.
Jung consigliava agli europei di studiare lo yoga ma di non praticarlo, perché non siamo fatti per usare i suoi metodi come conviene. Vale anche per la meditazione?
La meditazione (che sia buddhista, islamica o cristiana, poco importa) nasce in contesti culturali e religiosi che hanno una profondità psicologica e filosofica immensa, staccarla da questi contesti è pressoché impossibile. In certi casi oltre che impossibile è pure pericoloso. Nei suoi stadi più avanzati la meditazione ti porta a esperire veri e propri stati mistici, e gli stati mistici possono anche spaventare se non sono inseriti nel giusto contesto. Le psicosi e gli stati mistici hanno molti tratti in comune, e se non sai gestirli – o semplicemente non ne sai nulla – puoi scambiare gli uni per le altre e vivere di conseguenza un potenziale stato liberatorio come una dolorosa follia.
Aspetta quindi la meditazione non è solo buddhista?
Nel medioevo ad esempio noi occidentali eravamo molto più mistici, nel senso che la gente pregava (che equivaleva a meditare) molto di più. Poi gradualmente la pratica si è persa.
E perché si è persa?
Perché erano pratiche segrete, per iniziati. Diciamo che ce la siamo tirata di più, e l’abbiamo persa; invece di fare come i buddhisti che hanno deciso che tutti devono conoscere le tecniche, noi abbiamo prediletto la via dell’iniziazione. Ovviamente ci sono tecniche esoteriche anche nel buddhismo, però sono minoritarie con il farsi strada nella religione buddhista della figura del bodhisattva. Potremmo dire ironicamente che un Bodhisattva è una sorta di “spingitore di illuminati”, qualcuno che ha raggiunto l’illuminazione ma che rinuncia temporaneamente al Nirvana e, spinto dalla compassione, decide di continuare a reincarnarsi per aiutare anche gli altri a raggiungerlo. Da noi invece, dai misteri eleusini fino al cristianesimo, solo la cerchia interna conosce queste pratiche. Per esempio, nella comunità ortodossa del monte Athos, in Grecia, sono ancora note, però non si sono diffuse.
Senti, mi spieghi cos’è questa benedetta illuminazione?
Ce ne sono tante. O meglio, ci sono vari stadi. A volte si parla anche di superpoteri, dipende dalla disciplina. Questi stadi vertono verso un ultimo stadio è una sorta di “al di là del bene e del male”, per dirlo in occidentalese. È curioso, perché per il buddhismo, che la chiami illuminazione (Nirvana) o cessazione (Nirodha), l’ultimo stadio è proprio la scomparsa, che se ci pensi, per noi occidentali rappresenta effettivamente il massimo del male.
Scomparsa che dovrebbe interrompe il famoso ciclo delle rinascite?
Per le filosofie orientali che credono nella reincarnazione, l’illuminazione interrompe anche il ciclo delle rinascite, sì.
Questa cosa della reincarnazione credo di non averla mai capita davvero.
Be’ questo è forse il concetto filosoficamente più problematico del buddhismo perché il buddismo professa il non-io, quindi l’inesistenza dell’io. Ma se l’io non esiste, chi si reincarna? Intanto si deve considerare che il buddhismo nasce dall’induismo, e l’induismo crede nella reincarnazione. Questo per dire che il processo delle creazioni filosofiche e religiose non è mai incontaminato, è normale che si siano delle contraddizioni. Ci sono state date varie letture che cercano di spiegare la reincarnazione. Io ne ho offerta una nel libro, per poi scoprire che era una teoria che fa parte del dibattito buddhista. Secondo questa lettura la reincarnazione è un fenomeno collettivo, un flusso di somiglianze, somiglianze che ci hanno portato da millenni a bere, mangiare piuttosto che raggrupparci e cooperare, diciamo una versione evoluzionistica della reincarnazione. Ma rimane una questione aperta.
A essere sinceri non mi è affatto chiara neanche questa faccenda del non-io, della vacuità, del nulla che si celerebbe dietro l’illusione dell’ io, ma ho un po’ paura a chiedere.
Anche qui, non è per niente facile. Un modo di provare a capire la vacuità è per negazione, che è un procedimento tipico di Nāgarjunā, che è uno dei miei filosofi buddhisti preferiti, ma anche dei molti koan del buddhismo Zen. Invece di provare a spiegarti un concetto, che tra l’altro nel caso della vacuità è un concetto filosoficamente vuoto, i buddhisti ti dimostrano che tutte le altre teorie a riguardo non funzionano, ti portano al paradosso. Invece di dirti cos’è la vacuità, ti chiedono di spiegare cos’è secondo te la pienezza, tu ci provi, e a quel punto capisci che non ti torna nulla. Entri in un giro di paradossi, anzi, direi in un giro di schiaffi. E alla fine, a forza di pigliare schiaffi, rimani senza terreno sotto i piedi, letteralmente. E a quel punto “capisci”. Il buddhismo comunque insiste che concetti come questo non si possono capire intellettualmente, solo attraverso la meditazione si possono cogliere nella loro essenza. Io non sono un illuminato, però mi torna. Mentre studiavo queste cose ho cominciato a meditare (seppur indegnamente) e un po’ di corto circuito si è generato, meditare mi ha avvicinato e familiarizzato con questo concetto.
Mi sembra che alla fine la grande differenza tra buddhismo e le filosofie e religioni occidentali sia che il pensiero buddhista si capisce mettendolo in pratica.
Ripeto, la meditazione è anche un po’ “nostra”. A sprazzi è emersa anche nella filosofia occidentale. Detto questo, sì. Assolutamente sì.