Dunque Kana quasi bruciò un dito sul tegame, per affrettarsi ad aprire la porta, dato che il campanello  suonava già il secondo squillo. Esitò sulla maniglia, come se avesse tastato la coda di un serpente. Stese  la frangetta nera sulla fronte, poi aggrottò le sopracciglia e aprì. Di fronte a lei annuì inespressivo un  uomo in completo da ufficio. Era altissimo, tanto quasi da toccare i neon del soffitto. I suoi zigomi  sporgevano dal volto. Indossava occhialini trasparenti. 

– Buongiorno, signora Kojima – salutò con voce incolore. 

– Buongiorno – salutò lei assottigliando lo sguardo. 

– Il mio nome è Sato, dell’azienda Suzuki – proseguì l’uomo prima di estrarre un piccolo astuccio  metallico dalla tasca interna. Dietro di lui la famiglia Morakami lasciava l’appartamento adiacente, per  dirigersi chi a lavoro, chi a scuola, chi al mercato. Finsero di non vedere la scena, tirando dritto lungo  le scale, a facce basse. 

Lo sconosciuto porse un cartoncino a Kana con entrambe le mani, inchinandosi con deferenza  nell’accompagnare il movimento. Se non si fosse piazzato al centro del corridoio, di certo avrebbe  sbattuto la fronte all’architrave dell’ingresso. La donna allungò la mano con riluttanza, gettando  un’occhiata al rotolo di tamagoyaki che fumava debole sul piatto, accanto ai fuochi unti. Biglietto da  visita morbido al tatto, piacevole come una pelle, sebbene rigido e consistente. Doveva essere stato  stampato su una carta di grande qualità, pensò sfiorandone i caratteri lucidi col pollice. 

Suzuki Apologies LLC  

Kamurocho 

111-1984 

Tokyo 

******* 

Sato Daisuke 

Responsabile Uff. Scuse 

– Piacere di conoscerla, signor Sato. A cosa devo la sua visita? – chiese Kana col foglietto tra le mani,  osservando l’interlocutore riacquistare una postura eretta.

– Sono desolato di scomodarla a quest’ora, signora Kojima – rispose l’uomo con una seconda  riverenza, più rapida rispetto alla precedente. 

– Mh mh – scosse il mento Kana, come a fargli cenno di proseguire. 

– La mia umile presenza è stata gentilmente richiesta qui dall’egregio signor Ito – spiegò lui  accomodando il ponte degli occhiali sul naso – il quale desidera porgere le sue scuse più profonde in  merito alla sua incresciosa condotta di alcuni giorni fa –

Sato terminò la frase inginocchiandosi davanti a Kana, pur con le difficoltà evidenti di accartocciare il  lungo corpo in una figura compatta. Le sue scarpe erano talmente lunghe da toccare con le punte la  parete dell’androne. La giacca gli si apriva ampia sul pavimento come le ali di un pipistrello troppo  cresciuto. 

– Oh, signor Sato, mi rincresce davvero – mormorò Kana portando un dito sulle labbra – eppure temo di  non conoscere alcun uomo di nome Ito -. 

L’uomo abbassò la testa pigiando i palmi a terra, dando l’idea di volersi spalmare sullo zerbino – Molto  nobile da parte sua, signora. È un onore mortificarsi per lei. Ciò nonostante, è pregata di accettare la  mia sincera costernazione per conto di chi l’ha offesa –. La voce di Sato si era piegata in un tono più  grave, senza per questo perdere la peculiare nota servile. 

– Io… non capisco. Proprio non capisco. La prego, si alzi – esortò Kana indietreggiando d’un passo. Lo scusatore però non accennava a sollevarsi, anzi. Appiattito sul cocco antiscivolo, sembrava fosse in  procinto di cominciare a sciogliersi. – Signora Kojima, la supplico, abbia clemenza per il povero signor  Ito, il quale chiede null’altro che essere perdonato -. Tra le sue parole si sarebbe potuta intuire l’ombra  di una lacrima. 

La donna allora rimosse un grumo d’inquietudine, scuotendo l’aria con le mani. – Va bene. Sì. Accetto  le scuse. Le basta così? -. 

Sato tornò in piedi lento come se fosse riemerso da un lago – Se basta a lei, basta anche al signor Ito. È  sicura, signora Kojima, di non desiderarne ancora? -. 

Kana scacciò l’evenienza in modo rapido e risoluto – Sicurissima. Ha fatto un ottimo lavoro, grazie  infinite per il suo disturbo -. 

L’individuo inclinò il capo – Grazie a lei. Perdoni l’interruzione e buona giornata – quindi scomparve  in fondo alla scalinata per dirigersi al successivo appuntamento. 

Il rotolino di tamagoyaki sbuffava tiepido nel piatto. Tornata in cucina, lo assaggiò. Non era ancora  freddo, per fortuna. Appena decente, Kana masticò, che certo aveva fatto colazioni migliori, ma quella volta andò così e le toccò accontentarsi. Si stava facendo tardi, doveva riordinare svelta. Interruppe al  Wi-Fi un vocalizzo di Mariya Takeuchi nell’inciso di Plastic Love e accese la NHK sul notiziario,  ormai agli sgoccioli, dopo le notizie sull’imperatore Hirohito che aveva ricevuto a colloquio il  presidente Nakasone, sulle scosse preoccupanti che erano state registrate nella prefettura di Nagano,  sullo shuttle Discovery che era stato lanciato nello spazio, sulle condizioni di salute peggiorate dello  scrittore Kosaku Takii, sulla squadra olimpica giapponese che si era fatta onore classificandosi al  settimo posto del medagliere di Los Angeles. La presentatrice del meteo, sorridente davanti alla cartina  del Kanto, annunciava pioggia per l’intera settimana.

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