1.  

Per orientarmi seguo i binari del treno.

I miei occhi: prima bloccati da muri di pietra, ora rimbalzano e volano da una parte all’altra. 

Iniziano ad arrampicarsi sui tronchi di quercia. 

Rimangono aggrappati sotto i ponti 

quando cala il sole, in mezzo a

sassi alberi ciliegie binari binari spazzatura binari

scheletri di animali uomini bambini pozzi

bottiglie vuote sempre di più sempre di più 

ed io li stacco via ed è così che si appiccicano in alto,

sulle nuvole 

si spalmano.

Occhi pieni di cose, ma anche

vuoto. 

Ogni pedalata mi allontana da tutto quello che conosco.

In mezzo alla pancia un nodo con i miei bambini dentro.

E poi: discesa! Il mondo intorno a me vacilla 

a causa del vento che io creo.

Ippolita! Qui il mondo è: più alto! Più veloce! 

Qui tira sempre vento! Ora sono viva!

Viva.

Viva.

Ho paura per la prima volta ho paura ho paura anche di fermarmi 

non so cosa fare 

quando la strada sale non ti puoi più nascondere.

Queste gambe spingono da sette ore. Questa salita dura da un’ora.

Ora voglio solo togliermi questa gonna sudicia che mi si appiccica alle gambe ora voglio dormire in un letto vero

in un letto vero, pulito! 

Trenta giorni che sono in viaggio. 

Trenta giorni che pedalo. 

E cosa faccio qui in mezzo ai campi? 

Maledizione sento solo freddo sul mio nuovo corpo il mio nuovo corpo a due ruote.

E la fatica.

La fatica è una bestia, è un serpente che cerca di trascinarmi giù. 

Ogni 

pedalata 

un colpo 

di spada.

Maledizione.

2.

Cosa pensavi di fare? Tu non sei un ciclista.

È passato solo un mese ma è già ora di tornare a casa?

Ultima sera di viaggio, brindiamo.

Questo è per mio marito Max

che sarà molto arrabbiato con me.

Questo è per i miei bambini, tutti e tre

che non sanno che fine abbia fatto la loro mamma.

Questo è per il signor Kelly

che ci ha creduto fin dall’inizio.

Questo è per queste mie gambe questo è per quella 

maledetta bicicletta.

E questo è per mio fratello Jacob. Sapete? 

Avevo un fratello gemello, Jacob. Poi è morto.

Lo sapete che la mazurka è la mamma del valzer? 

Non è buffo che il valzer che è il ballo dei signori

venga da una danza popolare?

Max la prima volta che l’ho conosciuto ho provato ad 

insegnargli a ballare: valzer, mazurka, tutto quanto. 

Ieri volevo scrivergli, ma…

Non c’era ascolto. Non sa ballare come me. 

La mazurka ancora ancora 

ma il valzer. 

Il valzer è una danza adatta a chi ha una fantasia 

molto sviluppata. 

Purtroppo, la fantasia è un’arma a doppio taglio ed è 

difficilmente gestibile dalla maggior parte delle persone. 

Io posso improvvisare qualunque danza. 

Max è goffo.

In qualità di donna di mondo lasciate che vi spieghi 

qualcosa sulla mazurka: 

come il valzer, la mazurca è una danza a volteggi, 

ma mentre il valzer è leggero, 

la mazurka ha un ritmo più pesante, più moderato, 

movimenti molto più secchi 

e c’è un colpo di tacco alla fine 

di ogni sequenza coreografica.

Quando eravamo piccoli mio fratello Jacob diceva sempre 

Là. 

Vuoi andare là? 

Là. 

E come ci arriviamo? 

Allora ho iniziato a chiedere in giro come si arrivasse là, 

ma nessuno mi rispondeva, 

neanche quelli che là erano già saliti. 

Allora ho iniziato ad osservare quelli che erano già saliti 

là. 

Ancora non capivo. 

Poi ho guardato per terra

ed ho capito. 

Per terra era pieno di cose

di pezzi di cose

di pezzi di persone.

Le avevano lasciate quelli per alleggerirsi.

Io volevo portarli tutti. 

Mio fratello Jacob, i bambini, mio marito Max, 

tutti là

ma poi ho capito che là non si può salire che 

da soli. 

Io voglio capire cosa si prova

solo sentire.

E poi l’ho promesso a Jacob quando eravamo in ospedale. 

Che odore che c’era lì

fiori morti. 

Io vado su poi scendo e vi vengo a prendere. 

Ma ora vado da sola

lascio le cose

leggera! Come il valzer.

Solo una parte della mazurka viene insegnata e consta 

precisamente in quattro passi

il pas glissé devant, il pas de basque sauté, il pas boietaux 

e il coup de talon.

Lui l’hanno gettato nella fossa comune perché non c’erano 

abbastanza soldi per la bara. 

Io continuo. A modo mio. 

Anche per voi: poi quando la mamma torna a casa 

vi racconta tutto. 

Non è un problema, se la mazurka si traveste da valzer, no? 

È solo un gioco.

“Caro Signor Allen Kelly,

io le comunico che, nonostante qualche piccolo 

contrattempo, 

ho deciso di continuare il mio viaggio 

e sono pronta 

a ripartire.

* * *

Quando la bugia esce dalla nostra bocca e viene a contatto con la realtà, la materia di cui è fatta è simile ad una nota musicale potente e inquietante e fa di chi la produce un creatore. Come manipolare questa materia che è la parola? Quando questo modellare perde il suo aspetto ludico e diviene un mezzo che può ferire gli altri fino ad arrivare al punto in cui ferisce anche chi lo utilizza, un mezzo che taglia di netto il contatto con la realtà, con la verità? E se uniamo alla bugia la creazione di un alter ego, quanto materiale da gestire avrà il nostro creatore e riuscirà a non perdercisi dentro? ANNIE è un monologo che parla dei ruoli che ci impongono la società, il genere e la classe sociale, ma anche dell’ambizione e della manipolazione dei mass media. Basato sulla vera storia di Annie Cohen Kopchovsky, giovane ebrea lettone che nel 1894 lasciò, in seguito ad una scommessa, la sua famiglia (composta dal marito e dai tre figli) e fece il giro del mondo in bicicletta, divenendo la prima donna nella storia ad aver compiuto una impresa simile da sola. Annie aveva ventitré anni e non aveva praticamente mai pedalato prima d’allora. L’orologio della scommessa ticchettava, ma lei ce la fece, rispettando la scadenza temporale impostale dalla scommessa (quindici mesi) e divenendo, per milioni di persone, il simbolo dell’indipendenza della donna. Ma quale fu il prezzo di questa libertà?

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