Alternative scenarios for lovers

1. Torno dalla mia famiglia, in una casa bruciata a Lund. Tu sei di nuovo a Malmö. Guardo i miei genitori mentre radunano fotografie bruciacchiate in giardino, come rastrellassero foglie autunnali prima dell’inverno. I loro volti sono ricoperti di fuliggine. Disperata, trasporto la mia valigia sporca dall’isola di Nagu alla Russia, dove non sono rimasti né emo né emozioni da provare. A San Pietroburgo compro una macchina da scrivere, una di quella Smith Corona che ho sempre sognato, e rubo una sedia da un negozio di ferramenta. Scelgo una strada affollata e mi siedo a battere a machina. Le persone che passano mi chiedono una citazione, un’affermazione o la ricetta della princesstårta. Per la ricetta mi assicuro di aggiungere “non c’è princesstårta senza il marzapane”. In cambio delle mio battere a macchina le persone mi lasciano i loro pranzi ma li mangio di rado perché dentro c’è troppa carne. Panini con cubetti di pancetta o dense zuppe di pastinaca con pezzetti di maiale che affondano.

Un giorno incontro un cane in missione. Non sembra pericoloso, ma un semplice bastardo. Provo ad allungargli un panino al bacon ma lui cortesemente rifiuta, sostenendo di essere vegetariano. Dimmi di più gli chiedo e lui comincia a raccontare di come prima di essere un cane fosse un uomo svedese-portoghese mutato in cane dopo aver perso la sua ragazza. Ho camminato da una città chiamata Malmö, dove hanno resuscitato i falafel, a San Pietroburgo. Gli emo lì sono banditi. Sulla strada mi sono fermato a Budapest perché vedi questa ragazza viene dalla terra della paprika e dei meloni, ho pensato potesse volerne un po’ ma nessuno riusciva a trovarla da nessuna parte. Quando questo cane, un bastardo dalle zampe selvatiche, me l’ha detto, avrei voluto abbracciarlo perché finalmente avevo capito che eri tu. E io ti mancavo così tanto che avevi dimenticato cosa stessi cercando. Ma io dovevo solo ricordartelo.

Oppure:

2. Rispetto a te vivo dall’altra parte della Svezia. Sono passati anni dall’ultima volta in cui ci siamo visti.  Da quei dieci giorni trascorsi a Nagu. Tu leggi una pubblicità su un giornale. Una vecchia donna ha come il presentimento che morirà tra un giorno o due ma non ha parenti che possano ereditare il suo cottage. Decidi di chiamarla perché il cottage si chiama Bolond (“pazzo”, in ungherese). Una parola che ti è familiare. Ti prende in simpatia per la tua faccia onesta. Quando te le consegna, le chiavi in mano ti sembrano pesanti, ma il peso è confortante. Di sicuro arriveranno cose buone.

Spolveri l’insegna della casa, impili le sedie per liberare più spazio sul pavimento, pulisci le finestre da dentro e da fuori. Cerchi compagnia anche se nessuno sa dove sei. C’è un festival che sta per cominciare, o fra un paio di giorni è Capodanno? È qualcosa fatto per te. Qualcosa un giorno ti fa alzare più presto del solito. Ti spinge a farti la doccia e la barba. A passare il filo interdentale. A tagliarti le unghie dei piedi. Preparare un pranzo. Accendere una candela. Sei abituato ad aspettare.

Dopo il secondo colpo, apri la porta.

Oppure:

3. Sono un cyborg. Tu sei il mio caricatore.

Oppure:

4. C’è un faro di cui pochi sanno. In realtà, solo due persone al mondo sanno che esiste. Una di loro (io) vive nel faro, l’altra (tu) viene a visitarlo. Navighi con la tua barca e trovi la strada solo grazie alla luce del faro. So in che giorni verrai a farmi visita dal calendario che tengo. I miei giorni con te sono contrassegnati da una H, come una scala con un solo piolo; H. Salgo le scale e premo l’interruttore. Non vedo la tua barca ma tu vedi la luce. Non ci parliamo da anni. L’isolamento in mare e la solitudine nel faro ci hanno resi muti. Lasciamo che i nostri diari parlino per noi. Ce li scambiamo quando ci incontriamo. Ci aggiornano sulle cose che ci siamo persi. Sono le parole più chiassose che abbiamo mai letto. Di chi sono le voci che stiamo ascoltando?

Oppure:

5. Tra qualche anno salgo sull’autobus e mi siedo accanto a un uomo con una tovaglia al posto della camicia. Per un paio di minuti mi chiedo se sei tu, ma scendi dall’autobus prima che osi chiedertelo.

Oppure:

6. Hai passato la mezza età ma la gente ti trova ancora bello. Vivi con tua moglie e tuo figlio di 17 anni nella periferia di Londra. A tua moglie è stata diagnosticata la sclerosi multipla anni fa e il suo dolore si è lentamente travasato dentro di te. Insegni ungherese e linguistica in un’università prestigiosa, ma senza entusiasmo perché agli studenti sembra non interessare. A volte cerchi di rendere le cose più interessanti per dargli una svegliata. Gli parli del nivkh, una lingua che non è imparentata con nessun’altra lingua. Gli studenti ti guardano con le teste oblique. Nessuno riesce a farsi capire. Poi vedi il mio volto. Dalla tua piccola folla di studenti (perché chi studia l’ungherese di questi tempi?) mi vedi che ti osservo come se stessi rimuginando su una domanda. Ma oggi non la farò in classe.

Poi, nel giro di due settimane, entriamo in contatto. Tu insegni, io ascolto, chiedo, tu spieghi ancora. Distribuisci le dispense tenendo conto dei miei interessi e io non ho paura di mettere in discussione le tue teorie. Dalle dispense passiamo ai libri. Mi dai da leggere Frost, Didion, Brautigan, Edna St. Vincent Millay, … Io ti do Boye, Tranströmer e Södergren. Cerchiamo di incontrarci il più spesso possibile senza sembrare sospetti a nessun altro del dipartimento, ma non ci basta mai. Alcuni weekend andiamo alla British Library appena apre e ci sediamo al tavolo con il nostro lavoro fino alle ultime righe che riusciamo a leggere prima della chiusura. Tu mi porti pere cinesi che sembrano mele ma che sanno di acqua zuccherata. Io ti porto del cioccolato fondente amaro.

Improvvisamente, i mesi ci sono passati accanto. Per me è tempo di laurearmi e per te è tempo di programmare un altro anno accademico. Decidiamo di continuare a vederci, ma non riusciamo neanche ad arrivar al terzo pranzo che tua moglie mi chiama. Ha trovato il mio nome nel tuo diario e mi grida che ho rovinato il suo matrimonio, la sua vita, una famiglia con cui non avrei dovuto immischiarmi. Mi rendo conto del mio egoismo e chiudo ogni contatto con te. Senza volerlo, anche tu smetti di scrivermi.

Cinque anni e ancora non ci parliamo.

Oppure:

7. Ti sei sistemato nel tuo appartamento a Värnhem, Malmö. Alcuni giorni guidi un camion postale e fai musica quasi tutte le sere. Io mi sono trasferita in una stanza a Södermalm, Stoccolma. Passo la maggior parte delle mie giornate a scrivere o a leggere. Ma la mia casa è completamente vuota, quindi sono costretta a ricominciare da zero e a fare la cosa più adulta che ci sia al mondo: comprare un letto. A causa della mia situazione finanziaria, scelgo l’IKEA. Percorro l’intero piano, mi fermo al reparto camere da letto e provo ogni materasso. Il più duro mi ha convinto; decido di comprarlo. Cammino tra gli scaffali di raccolta e trovo il mio materasso da 50kg. Lo trascino fino alla cassa ed ecco, ce l’ho fatta. Ho comprato il mio primo letto da adulta. È più grande di un letto singolo, ma più piccolo di quanto vorrei. È la misura che ci permetterebbe di avere abbastanza spazio, se mai dovessi venire a trovarmi.

In fila per il servizio di trasporto guardo un bambino brutto tra le braccia di una madre stressata. È preoccupata che le sue lenzuola pastello non si intonino alla carta da parati della camera da letto e non sembra riuscire a trovare una sfumatura più affine. Conto fino a dieci perché ho sentito dire che se si è arrabbiati aiuta, ma non funziona. Cerco di smettere di guardare il bambino brutto. In qualche modo mi aiuta. Faccio un ordine perché mi spediscano a casa il materasso. L’uomo grasso dietro il bancone, dice che arriverà il giorno seguente. Mi preparo per l’arrivo del letto. Spolvero gli scaffali, innaffio le piante e metto in fila i libri. Poi suona il campanello dal piano di sotto. Una voce familiare mi dice che il mio letto è arrivato. Corro di sotto e ti vedo seduto soddisfatto nel camion dell’IKEA. Si scopre che sei l’autista di ogni tipo di camion.

Oppure:

8. Mi invento delle storie.

(Originally appeared Little Brother Magazine, No. 4. Copyright © Szilvia Molnar, 2014. Used by permission of Wolf Literary Services, LLC, on behalf of the author. All rights reserved).

Traduzione a cura della redazione

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