Baumgartner fa male e fa bene. Fa male perché racconta le cose vere e crudeli che la vita ogni giorno, con costanza e indefessa laboriosità, ci costringe a guardare. Sono la perdita e il lutto, la solitudine, la compassione e il ricordo. Fa bene perché tutte queste condizioni, raccontate con spirito e dolcezza, alimentano un sentimento di conforto: il tempo non è più un tiranno, ma un signore buffo e gentile, che di tanto in tanto ci ricorda la sua presenza tossendo forte, o chiudendo rumorosamente una porta. Non credo che Baumgartner sia il testamento di Paul Auster, con questo romanzo non finisce nulla: Baumgartner è la sua fotografia, e va conservata con cura, tra le pagine di un libro o appoggiata sul comodino.