Di cosa parlano gli altri 6/12

Di catastrofi, scrittori del Boom e della felicità di Bolaño

Il caldo, a quanto pare, fa diventare tutti più aggressivi. Se questo fenomeno, osservato in vari studi (Global Warming and Violent Behavior), porta a pensare subito all’estate appena iniziata, qualcuno, più lungimirante, inizia a temere che il cambiamento climatico possa condurre a un aumento della criminalità (Climate change can fuel aggression and violence). Di certo la nostra rassegna di luglio un po’ più aggressiva lo sarà. Ma non è colpa mia se le paure (i terrori, direi) diventano sempre più opprimenti e se all’orizzonte si staglia un panorama geopolitico non propriamente incoraggiante.

Cominciamo con l’AI

Prendete, tanto per cambiare, l’intelligenza artificiale e provate a leggere con quali parole viene apostrofata. Su Project Syndicate si paventa addirittura l’Apocalisse (The AI Apocalypse?). A discuterne sono niente meno che George Soros, Daron Acemoglu, Simon Johnson, Sylvia Barmack, Michael R. Strain, Jim O’Neill, Mariana Mazzucato, Gabriela Ramos. Soros, in particolare, sostiene che l’AI sia un fenomeno unico che l’intelligenza umana ordinaria fatica a comprendere pienamente e che sarà quasi impossibile da regolamentare.

Anche su The Atlantic non vanno per il sottile e, tramite un editoriale di Adrienne LaFrance, lanciano un appello affinché si formi un movimento culturale e filosofico che affronti l’ascesa della superintelligenza artificiale.

LetrasLIbres, invece, si mantiene in ambito letterario ma annuncia, senza esitazioni, La muerte de la escritura, precisando, tuttavia, che scriveremo fino alla fine dei giorni, nel bene e nel male, ma non scriveremo mai più come prima che nascesse il golem dell’intelligenza artificiale. E si conclude, poi, che la possibilità di un futuro distopico in cui i robot scriveranno e si leggeranno da soli è una prospettiva da considerare, poiché già oggi una grande quantità di traffico digitale è generata da bot che simulano il comportamento umano.

Immagine: LL / dall-e

Lettere dal Boom latinoamericano

Come spesso accade, però, si trova consolazione alle paure guardando ai (presunti o reali) splendori del passato. Certo, non sempre si fa con lucidità, ma in questo caso sento di poter dire che l’obiettivo è centrato. Andiamo, infatti, dritti dritti al Boom della letteratura latinoamericana degli anni ’60 e ’70. Las cartas del Boom, un volume appena uscito nel mondo ispanico, raccoglie per la prima volta le 207 lettere scambiate tra il 1959 e il 1975 dagli autori latinoamericani più influenti del momento. «È un libro storico», scrivono Carlos Aguirre, Gerald Martin, Javier Munguía e Augusto Wong Campos, i curatori del volume, perché qui sono raccolte, per la prima volta, le lettere che si sono scambiati, negli anni del Boom latinoamericano, Julio Cortázar, Carlos Fuentes, Gabriel García Márquez e Mario Vargas Llosa, nomi che fanno parte della storia della letteratura argentina, messicana, colombiana e peruviana – rispettivamente – e anche della letteratura mondiale.

Su LetrasLibres, è possibile leggere alcune tra queste lettere. Come per esempio quella del 1964 in cui Carlos Fuentes, dopo aver terminato di leggere La città e i cani, esprime a Mario Vargas Llosa la sua ammirazione per l’opera e afferma che la nuova direzione della narrativa si trova in America Latina, dove la letteratura nasce da una necessità invece che da motivi commerciali o politici. Oppure quella del 1966 a Gabriel García Márquez da parte di Carlos Fuentes che elogia le prime 70 pagine di Cent’anni di solitudine, definendole magistrali e paragonando lo scrittore colombiano a grandi autori come Kafka, Faulkner, Borges e Mark Twain. Fuentes afferma che il romanzo di García Márquez è un’opera che salva la letteratura latinoamericana, offrendo un nuovo spazio sacro-profano per la creatività.

Particolare della copertina di “Le lettere del Boom” – Mario Vargas Llosa, Carlos Fuentes, Gabriel García Márquez e Julio Cortázar. Edizione di Carlos Aguirre, Gerald Martin, Javier Munguía e Augusto Wong Campos. Alfaguara, 2023.

Il più francese tra gli argentini

E, a proposito del Boom della letteratura latino americana, a sessant’anni dall’uscita di Rayuela, Gabriela Girard, intervenendo durante un evento di “Heure d’œuvre”, serie creata da Fabrice Picandet, ha parlato di Julio Cortázar come «uno degli scrittori argentini più francesi». Mentre Miguel Herráez, il biografo di Cortázar, ha descritto Rayuela come un’opera che conserva «tutta la sua vitalità» anche dopo sessant’anni. Rayuela ha avuto un grande impatto sulla narrativa spagnola e latinoamericana, e rappresenta ancora oggi un’opera innovativa e distruttiva. Un’opera – spiega ancora Herráez – che ha aperto nuove strade nella narrativa e ha influenzato generazioni di scrittori in tutto il mondo. 

Altra riflessione interessante riguarda il ruolo del jazz nella sua composizione, come mostra un articolo su El Comercio.

L'opera di Julio Cortázar è stata caratterizzata da una forte influenza del jazz. / La Nación/ GDA
L’opera di Julio Cortázar è stata caratterizzata da una forte influenza del jazz. / La Nación/ GDA

Bolaño era felice quando scriveva

A proposito di anniversari e di Boom letterario latinoamericano, quest’anno Roberto Bolaño avrebbe compiuto settant’anni. Su HJCK propongono la lettura di Llamadas telefónicas, un racconto pubblicato nel 1997. Mentre Valerie Miles, una scrittrice, editrice e traduttrice americana che ha lavorato nell’archivio di Bolaño e ha discusso del suo lavoro e della relazione di Bolaño con Borges, racconta queste sue esperienze in un’intervista a Patricio Zunini su Infobae. Bolaño – spiega Miles – è senza dubbio uno dei grandi scrittori dell’America Latina, ma si potrebbe anche dire che è il prototipo dell’autore dello spagnolo totale: uno scrittore cileno che ha viaggiato in Argentina, ha vissuto in Messico ed è morto in Spagna. Ce ne parla, inoltre, come dell’ultimo autore del Boom latinoamericano. Durante il suo lavoro nell’archivio, Miles ha scoperto che Bolaño scriveva spesso la frase «sono immensamente felice», suggerendo che era molto contento quando scriveva. 

La Vanguardia dedica un servizio alla vita di Bolaño a Barcellona. Nel quartiere Raval, in particolare, si può vedere la casa dove visse lo scrittore con la madre, mentre lavorava come guardiano in un campeggio di Castelldefels. Durante le notti di lavoro, approfittava del silenzio per scrivere tra giri di ronda. Avevamo parlato dei luoghi più significativi della vita in Spagna di Bolaño qui

Allo scrittore cileno è anche dedicato il “Questionnaire de Bolaño”, un insieme di domande per intervistare gli scrittori creato da Emmanuel Bouju, con la collaborazione di Christian Galdón Gasco e Amanda Murphy, regolarmente utilizzato dal magazine francese En attendant Nadeau. L’ultima intervista è dedicata a Jakuta Alikavazovic.

Dal canto suo, anche Isabel Allende ha qualcosa da dire su Bolaño, ma non è una celebrazione. Che gli scrittori del Boom non la amassero è cosa nota. Bolaño, tuttavia, arrivò a dire che Allende non era una escritora (una scrittrice), ma una escribidora, cioè una ‘scrivitrice’, una che scrive molto, ma senza la stessa connotazione di talento o professionalità di una vera scrittrice.

Crisi, crisi e ancora crisi

Tornando, invece, alle prospettive catastrofiche da cui eravamo partiti, l’ultimo colpo, in ordine temporale, a un mondo già in crisi – quello dell’editoria – è stato inferto da National Geographic. La celebre rivista ha licenziato gli autori in redazione, per affidarsi esclusivamente a collaboratori freelance e cercare di sopravvivere. È impressionante pensare che, se alla fine degli anni ’80 National Geographic vantava 12 milioni di abbonati solo negli Stati Uniti, oltre a milioni di altri all’estero, alla fine del 2022 il numero di abbonati era sceso a poco meno di 1,8 milioni.

Altra grande crisi è quella del mondo liberale, talmente dirompente da aver portato diversi commentatori a paragonare l’Occidente al Titanic. La democrazia liberale appare sempre più debole e poco promettente. Qualcuno, per salvaguardarne la sopravvivenza, è arrivato a rivalutare la censura e riconsiderare il concetto di “libertà di parola”. Sebastian Milbank, in particolare, su The Critic sostiene che la censura è necessaria per il corretto funzionamento di una società democratica e delle sue leggi. 

Varie ma non eventuali

Sul New Yorker, Zadie Smith racconta come mai, scrivendo il suo ultimo romanzo “storico” The Fraud, ha evitato deliberatamente di seguire lo stile di Charles Dickens.

In Francia è stata pubblicata una nuova traduzione di La campana di vetro di Sylvia Plath, molto apprezzata da Véronique Ovaldé per la sua raffinata interpretazione dell’opera. Questa edizione rivisitata offre una nuova prospettiva sul racconto di Plath, e sulla lotta dell’autrice con la depressione. La traduzione è stata rivista e l’edizione è stata salutata come un importante contributo alla comprensione dell’opera di Plath.
Su The New Republic, Indigo Olivier ci spiega perché oggi in particolare è assolutamente necessaria una storia degli afroamericani. L’insegnamento della storia afroamericana è diventato un argomento controverso negli Stati Uniti, con forze conservatrici che cercano di rimuovere i libri di autori afroamericani e LGBTQ dalle scuole pubbliche e dalle biblioteche.

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