Di cosa parlano gli altri 8/12

Di mare, sesso e storia

Surf made men

Quando, il 4 marzo 1963 (giorno del ventesimo compleanno di Lucio Dalla, n.d.r.), i Beach Boys lanciavano il loro singolo più famoso, Surfin’ USA, probabilmente non immaginavano neanche lontanamente che un giorno il surf sarebbe diventato emblema di una distopia terrena – anzi, marina – fatta di risse e fake news. È vero che – direte voi – eravamo in piena guerra fredda e che, di conseguenza, non ci si potesse meravigliare di nulla, ma qui parliamo dei surfisti di Linda Mar – perdio! –, una spiaggia affollata a dieci miglia da San Francisco dove, secondo quanto scrive Jay Caspian Kang nella sua nuova rubrica sul New Yorker, l’accesso facile ai contenuti online, combinato con la popolarità dei video brevi sui social media, ha contribuito ad aumentare le tensioni e a creare frizioni tra gruppi di surfisti. Va anche detto – nessuno me ne voglia – che nemmeno i Beach Boys erano estranei alle tensioni né tantomeno alle frizioni, come ci racconta Far Out Magazine.

Copertina dell’album Surfin’ U.S.A. dei The Beach Boys, rilasciato nel 1963, icona della musica surf rock e manifesto della cultura giovanile dell’epoca. © Wikimedia Commons

A Linda Mar, tuttavia, la questione è abbastanza seria. È un po’ come se – ci spiega Kang – dei pazzi stessero emulando, con le loro teste bacate, le centinaia di video che vedono continuamente su Instagram, con una comprensione vaga e spesso fuorviante dell’etica del surf. Giusto per fare un esempio, quando qualcuno sente che lo hai escluso o – dio non voglia! – che hai cavalcato la sua onda, allora, come un lupo mannaro (ma anche di mare), si trasforma, seppur brevemente e in modo poco convincente, in un mostro selvaggio con una tavola da surf in mano pronto a dartele di santa ragione. E allora – da queste constatazioni – partono le domande: «If online content is reshaping the world of surfing—sending people to the same beaches while also making them belligerent and misinformed—who or what is to blame, and what can we do about it?» Ma non sono tanto queste le domande a cui si vuole dare risposta, quanto quelle relative allo sfogo della consapevolezza che «similar questions, of course, have been asked again and again, for the past decade or so, about American political life». Insomma, non si tratta di frangere le onde, quanto di salvare l’ordine mondiale. Trump non ce ne voglia!

Profondità letterarie e superfici oceaniche

Ma non è necessario andare avanti: potete leggere tranquillamente il pezzo sul New Yorker e arrivare in fondo alla riflessione politico-social-surfista. Rimaniamo, però, ancorati ⚓️ al mare («dice che era un bell’uomo e veniva, veniva dal mare», direbbe sempre Lucio Dalla, n.d.r.) poiché la Revista de la Universidad de México vi ha interamente dedicato l’ultimo numero: «En esta edición encontrarás un acercamiento pluridisciplinario al mar y a sus secretos». E in effetti si affrontano i diversi aspetti del mare come forza creatrice delle terre, della vita e come oggetto di studio per filosofi e scienziati. Si narrano anche episodi di pirateria, tra cui uno che vede protagonista una donna pirata, e le superstizioni e le convinzioni dei marinai.

Koga Harue, Il mare, 1929. Museo Nazionale d’Arte Moderna, Tokyo.

D’altronde, già Ernesto De Curtis nel 1894 faceva partire la sua notissima canzone Torna a Surriento con un invito decisamente poetico: «Vide ’o mare quant’è bello, | spira tanto sentimento». Forse è per questo che il noto storico e ammiraglio americano Samuel Eliot Morison ha deciso di dedicare al mare nella letteratura un piacevolissimo saggio che potete leggere in un numero di The Atlantic uscito nel 1955. Insegnante, biografo, ammiraglio e storico, Morison s’è fatto un nome per le sue opere letterarie incentrate sull’oceano. Tra i suoi libri più noti, The Maritime History of Massachusetts e Admiral of the Ocean Sea che racconta la vita di Colombo. Morison ha dedicato anche diversi anni alla stesura di una storia navale, The Atlantic Battle Won. Questo saggio uscito sull’Atlantic fa un tuffo letterario negli oceani e nel Mediterraneo, navigando tra le acque antiche di Omero, Eschilo e Virgilio fino alle onde oceaniche del XIX secolo. Si immerge, inoltre, nelle profondità medievali, ripercorrendo la leggenda di San Brendano. Dante, poi, che forse non aveva mai messo piede su una barca, è osannato per le sue descrizioni marine. I poeti romantici del XIX secolo, invece, con il loro sentimentalismo da mare mosso, vengono gentilmente rimproverati. John Masefield, al contrario, è il re dei poeti del mare del XX secolo mentre con Moby Dick di Melville e Robinson Crusoe mette al centro la grandezza di alcuni romanzi di mare.

Porn Party

Ma ormai è arrivato il momento di mettere i piedi a terra. E non solo i piedi, mi sa. Anche perché, oltre al mare nella letteratura, c’è il mare della letteratura. E navigando questo mare ci si imbatte spesso in un altro tema piuttosto battuto: il sesso. Rachel Rabbit White, per esempio, prima di diventare la poetessa col cognome più soffice del panorama letterario, era una escort. Per questo, in un’intervista a The Believer, l’ex lavoratrice del sesso diventata poetessa parla del suo ultimo lavoro, Porn Carnival, e di come sia legato (anche se il titolo è di per sé già abbastanza suggestivo) alla sua vecchia professione. E non finisce qui! La White, non contenta di essere solo una poetessa, si fa portavoce della poesia come forma d’espressione creativa e lancia un appello: vuole vedere più persone, specialmente quelle che vivono ai margini della società, cimentarsi nell’arte della scrittura poetica.

Sempre a proposito di espressione poetica e sessuale, in un tour de force letterario, T-Magazine, settimanale del New York Times, ha stilato una lista delle 25 opere letterarie queer più influenti dal dopoguerra. Si parte con Stone Butch Blues, un romanzo di Leslie Feinberg che si addentra nei meandri del genere e dell’identità butch, svelando con maestria le sue intricate complessità. Si passa poi a Sister Outsider, una raccolta di saggi e discorsi della grande Audre Lorde, che con il suo stile affilato come un rasoio ci porta a riflettere su temi di giustizia sociale e identità intersezionale. Non manca, naturalmente, Giovanni’s Room, romanzo di James Baldwin che ci catapulta nella Parigi degli anni ’50, attraverso la storia d’amore tra due uomini. Infine, per chiudere in bellezza, Angels in America, opera teatrale epica di Tony Kushner che offre uno spaccato di vita e di esperienze di personaggi queer durante l’epidemia di AIDS.

Un’istantanea senza data di James Baldwin davanti alla Chiesa di Saint-Germain-des-Prés a Parigi. Collezione James A. Baldwin, Museo Nazionale di Storia e Cultura Afroamericana.

Su Les Inrockuptibles, in alternativa, si parla di prospettiva femminista a tutto tondo tramite una selezione di otto saggi consigliati e pubblicati in occasione della Giornata internazionale dei diritti delle donne. Gli argomenti spaziano dalla menopausa, all’esperienza delle donne iraniane, all’influenza di Yoko Ono sulla musica e sull’arte contemporanea, alla questione dell’inclusione delle persone trans nei movimenti femministi, al femminismo come progetto politico, all’importanza della conoscenza dell’utero come organo, alla possibile paternità delle opere di Shakespeare da parte di una donna, fino alla possibilità di vivere una vita femminista.

Il lato violento della storia

Rimanendo in tema di passioni umane e di movimenti liberatori, un saggio uscito su Aeon dello storico Sam Haselby esamina la visione che Niccolò Machiavelli aveva della violenza e dell’instabilità come fondamenti della vita politica. Machiavelli, che dichiarava «è meglio essere temuti che amati», era ossessionato dal ruolo della violenza nel creare (e ricreare) le società politiche. Secondo il pensatore fiorentino, le origini rivelano due verità fondamentali: la natura effimera della vita politica e la possibilità di replicare le condizioni violente in qualsiasi momento e luogo. L’articolo mette in luce come la visione di Machiavelli possa offrire una prospettiva utile sulle dispute politiche contemporanee, soprattutto quelle legate alle questioni di origine e appartenenza.

A questo proposito, cade a pennello il lavoro dello scrittore e fotografo Louis Witter che, con il suo libro La Battue. L’État, la police et les étrangers, denuncia la politica violenta e disumana dello stato francese nei confronti dei migranti senza documenti a Calais. Si è trattato, secondo Witter, di una strategia tesa a rendere impossibile la vita degli esiliati, escludendoli dallo spazio comune. Il libro evidenzia le dimensioni materiali e psicologiche di questa situazione disastrosa, rappresentando senza reticenze “l’industrializzazione delle espulsioni” e la violenza esercitata dalle forze dell’ordine. La Battue rappresenta un discorso di resistenza e verità, che ribalta totalmente il pensiero comune e la politica in tema di migrazione.

Louis Witter, La battuta. Lo Stato, la polizia e gli stranieri (dettaglio della copertina © edizioni Points)

Qualcuno potrebbe sentenziare che la storia darà ragione a chi ce l’ha. Niente di più sbagliato, secondo David Reynolds, il quale, in un pezzo uscito sul New Statesman, esamina l’uso politico del concetto di “lato giusto della storia”, in particolare nel dibattito sul conflitto tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza. Reynolds critica l’idea che la storia abbia una direzione precisa e che esista un verdetto storico definitivo. Cita figure politiche come Adolf Hitler, Fidel Castro, Tony Blair e Vladimir Putin, che hanno sempre richiamato la storia quale giustiziera finale delle loro azioni, dimostrando la fallacia di tale argomento. Reynolds sostiene che la storia è complessa e soggetta a diverse interpretazioni; quindi, affermare di essere sul “lato giusto della storia” è un errore concettuale.The Pentagon’s Silicon Valley Problem di Andrew Cockburn, su Harper’s, si concentra invece sul problema del legame tra il Pentagono e la Silicon Valley, descrivendo come le grandi aziende tecnologiche quali Google, Microsoft e Amazon collaborano attivamente con l’industria della difesa. L’articolo menziona progetti specifici come il Project Maven di Google, un’iniziativa mirata ad accelerare l’integrazione del Dipartimento della Difesa con il big data e l’apprendimento automatico. Il focus del testo, tuttavia, è analizzare le questioni moralmente controverse e tecnologicamente complesse che sorgono da tali collaborazioni.

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