«Ma queste case sono in vendita?».

«Sì, bifamiliari a 130 mila euro l’una».

«Ah! Beh, niente male».

«Sì, ma sei a Palata Pepoli».

All’ultima risposta Luca resta a guardarmi con un sorriso sfranto, ha usufruito con nonchalance di cinque cicchetti, di cui gli ultimi due di whisky, il che ha avuto un effetto straniante su di lui perché non si ricordava che il nettare del nord lavora a rilascio controllato e appena ti siedi sfascia e turbina e immalinconisce. Andrea sta contemplando la campagna e mi chiede se quell’appezzamento di fronte casa sia mio, io rispondo di sì e che me ne faccio di poco, perché da questo luogo vorrei congedarmi e volare come un aliante senza rumore sfruttando le sacre correnti del tempo, eppure mi trovo sempre qui a scrivere di quanto vorrei andarmene. Ritorniamo sul discorso delle case e ci rendiamo conto che a Palata probabilmente non se le comprerà proprio nessuno, occorre un certo autolesionismo e soprattutto occorrono figli – si chiamano “bifamiliari” per un motivo -, così ci rendiamo conto che abbiamo tutti passato i trent’anni e che il problema di quest’Italia misera e sbruffona siamo noi tre senza nemmeno una donna cui prospettare il fascino di una vita insieme.

Alle 22 tutto sembrava diverso. L’idea era chiara: atterrare in una discotechina fuori posto a poca distanza dal fiume, mica dal mare, e vedere come scorre il tempo da dietro le cattive tempistiche in cui siamo stati catapultati da noi stessi e dalla vita. Siamo senza dimestichezza e si vede, con noi c’è anche Davide che preferirebbe smontare pezzo a pezzo la Tour Eiffel piuttosto che andare a ballare. Siamo senza dimestichezza, quindi, e ci rechiamo alle 22.20 in questa discotechina cotechina insaccata nella campagna, cristo santo non c’è nessuno, facciamo la tesserina e ci diciamo che la colpa è nostra, non si va a ballare prima di mezzanotte, diomio che gesuiti ingenuotti che siamo, prima meglio farsi un giro.

Non abbiamo idea di dove andare e allora giriamo la bassissima modenese in cerca di bar. Il primo che propongo è infine una casa, ho confuso i nominativi e inserito l’indirizzo sbagliato; quasi quasi sveglio la zdoura e mi faccio offrire una grappa, ma retrocediamo infilandoci nuovamente nell’imbuto di una strada adatta giusto a un calesse. Così, mi ricordo di Lauro, il cariatideo Lauro la cui famiglia conduce l’osteria-bar-campidacalcioedatennis da quasi due secoli (immaginatevi giocare a pallone fissando le porte sulle rive opposte della palude), e mi ci dirigo. Sta giocando a carte con un consesso di strepitosi sedimenti umani poggiati sulla terraferma dal fiume, ci sono signore che si raccontano la ricetta dei tortelloni di zucca e io sono sinceramente affascinato, siamo tutti affascinati perché siamo ragazzi malinconici di provincia e ci piacciono le cose stantie e polverose e vivissime. Lauro inizialmente non vuole servirci perché, dice, questo è un circolo, però quando gli faccio presenti i miei natali con soddisfazione si leva dalla sedia e prega di portare i suoi saluti a mia madre. «Cosa volete?» e ci fa tre amari e un Bailey’s, il Bayley’s lo prende guarda a caso proprio quel mio amico che non balla. Con Lauro parliamo un patois di italiano e dialetto della bassissima, ci capiamo come i barbagianni che ogni giugno si appostano sui miei alberi, è bello perché dentro a questo linguaggio ci sono il suolo rimestato dagli aratri e le lune rosse che ti bucano il petto, c’è la nonna e l’amore odioso per questi luoghi sciabordati e antipodici.

Beviamo, fanno dieci euro totali, ci rimettiamo in carreggiata e ci spostiamo di qualche centinaio di passi, da Casoni di Sotto a Caselle, dove una volta il PCI prese il 94% e al prete fu chiesto di trovare altro alloggio in quanto adepti di Cristo non ce n’erano, ma per Nilde Iotti si sarebbero sacrificati pure i bambini. La fermata successiva è la Loggia delle Streghe, cinquant’anni di onoratissimo servizio a unica gestione, ci ho passato infanzia e adolescenza a guardare gli adulti con la frenesia di crescere il più velocemente possibile. Ci accoglie Tatiana – è di Caselle e non avrebbe potuto portare un nome che non fosse sovietico – ed è sorpresa di vedermi, una volta ero in formato quattro terzi e rompevo le palle, adesso sono un sedici noni montato al contrario e mi vede come un uomo. Andiamo di mezzo litro di lambrusco, si iniziano i discorsi seri: Luca apparecchia il tema donne. Io più che altro ascolto, Luca ha tre anni in più di me ma sembra meno sgamato, il vino lo aiuta a tirar fuori le debolezze. C’è una bella atmosfera, davvero, Davide non beve perché, dice, sta controllato con le calorie quotidiane, che tiene monitorate con un’apposita applicazione; non ne avrebbe bisogno, è in forma smagliante, tuttavia in provincia vivere senza ossessioni non è possibile e uno è tenuto a trovarsi il proprio angolo di compulsione. Scoliamo la caraffa, la stessa che vedevo quando ero piccolo, e così è una nuova madeleine che scioglie i pensieri e questa volta fanno cinque euro, ci guardiamo e sorridiamo: questa provincia puttana è proprio un affare.

Bene, è ora di tornare alla discotechina cotechina. Il parterre si è popolato, ci saranno un centinaio di persone. Capiamo subito che siamo i più vecchi. Sì, ma di quanto? Luca inizia a fare i conti e si rende conto che hanno più o meno tutti almeno 12 anni in meno di lui. Così, decide che è necessario stralunarsi un po’ per sopravvivere, anche io mi dico che un drinketto non può farmi male, ci mettiamo in fila e andiamo col primo giro. Torniamo in pista, mi sento un prete al campo cresima, le ragazze mi guardano con lo stesso attonimento di quando si vede una giraffa a un concerto di quartetto d’archi. Stranamente, sorrido più del solito e capisco il motivo: nessuno di noi si sta prendendo sul serio, non ci aspettiamo niente da noi stessi, siamo partecipi e appartati a giocare un po’ con le zampette di questo mondo grassoccio che vuol farci credere di essere migliore di noi. Soprattutto, nessuno della tonnara puberale conosce i nostri pensieri, che si colorano di un’intimità finalmente adulta, di un’alterità scevra di timore reverenziale. Luca mi propone un altro giro, vodka e tequila in rapida successione, la barista sorride e credo ci compatisca, perché ce ne offre uno in più. Questa volta la fiammata arriva, mi smuovo anche fisicamente però la musica è mostruosamente inadatta, tutti gli under 21 cantano a memoria, Luca è ben pasturato e a una certa decide di far breccia in un duo di ragazzotte, carine forse, e si finisce a parlare tutti assieme. Sono le 3 passate ormai, Luca è una fiamma e scopriamo che le ragazze sono di Novi di Modena, Dio non è mai passato nemmeno di lì, e Andrea fa la battuta del cioccolato Novi, io non lo sento e la faccio anche io, eppure le ragazze sono simpatiche e ci scambiamo didascalicamente le rispettive esperienze, felicemente consci che non ci rivedremo mai più. Via, questa è la provincia, si torna a casa.

Passata la curva ecco le forche caudine della serata. Luci blu baluginanti indicano che la polizia locale si diverte a spese dei contribuenti e la prima reazione è quella di fermarsi in uno spiazzo adiacente a debita distanza. Gli altri mi dicono che ho avuto un’idea del cazzo, così do nell’occhio; pertanto non torno indietro e riprendo la strada verso i vigilotti, sono lucidissimo come lo sono stato per tutta la sera, ma c’è da segnalare che il mio fiato appiccherebbe un fuoco. Naturalmente, ci fermano. Patente, libretto, vanno al macchinotto e tornano e mi chiedono: «Come mai ha fatto inversione quando ci ha visti?». Col sorriso e una serenità serafica rispondo che ero convinto si trattasse di un incidente. Un secondo di circospetto silenzio e la vigilotta scoppia a ridere, mi dice ahhh, bene!, direi che ha aiutato anche la mia faccia da ragazzo angelico. I miei amici trattengono le risate, prendiamo in indecente salita il gracile ponte a senso unico verso Palata – se s’incontra un dirimpettaio tocca fare retromarcia, è questo il nostro Himalaya – ed è come se ci librassimo nell’aria, diciamo ma quanto è puttana questa provincia!, quanto è splendidamente puttana!, e senza musica arriviamo a casa mia.

Parliamo di bifamiliari, appunto, e ne parliamo perché Luca ci ha chiesto dieci minuti, poi diventati circa sessanta, per permettere al proprio corpo di riassestarsi e tornare a casa con felice esito. Siamo in cucina, a una certa passiamo in rassegna tutti i magneti che ho apposti al frigorifero. Bruges, Colonia, Bonn, Amsterdam, Napoli, Berlino… insomma, lei. Questa volta però è diverso, non sento chissà quale tonfo, e riesco ad essere un lucido cicerone del mio passato anche perché aiuta un magnete sloveno che sostiene una figurina, è quella di Sandro Tonali, Ora pro nobis, ovunque proteggimi ovunque tu sia, scudiero dei nostri cuori gonfi e stanchi. Ispirato, corro a mostrare ai ragazzi una maglia del Milan (annus gloriosus 2002/03, campioni d’Europa a spese della presunzione bianconera) di Rui Costa, autografata, l’ho pagata una miseria e ne vado fiero. Luca sfascia gli occhi riarsi in una parabola di stupore afasico, sento i capillari dei suoi occhi schiudere l’involucro dei ricordi e so che questo fa sempre un po’ male. Andrea, che tifa inspiegabilmente Fiorentina, si unisce al giubilo incrociando con una certa soddisfazione le braccia sul torso. Beviamo molta acqua e parliamo della natalità in Italia, quanto ci sembravano vecchi i trentenni quando eravamo bimbi!, ora il passato e il futuro siamo noi.

Ci congediamo, sono quasi le cinque. A breve sarà Ferragosto, a breve non resteranno che i ricordi di Lauro, di Tatiana e della discotechina cotechina mal colonizzata da quattro ragazzi iniettati di vecchi ideali e voglia di amare, sempre e comunque. La provincia annega, e in fin dei conti noi saremo sempre i suoi palombari.

Leggi anche