C’è una lampadina che pende dal soffitto e che lampeggia debole: è l’unica luce che illumina la stanza e non so quanto ancora resisterà.

Da ieri sono di nuovo i giorni del fuoco e noi siamo tornati quaggiù.

Papà dice che è importante che te lo raccontiamo. Dice che la mattina io e Susi dobbiamo occuparci di questo. Possiamo farlo nella nostra testa o anche ad alta voce, è uguale; allora, come anche l’ultima volta, io mi metto con le ginocchia contro il petto, ci appoggio sopra le mani, alzo la testa e ti inizio a parlare come un sussurro. Papà dice che a sibilare così somiglio a un serpente.

«Cos’è un serpente, papà?»

«Un animale che esisteva prima, che bisbigliava tutto il tempo».

«Prima è quando c’era Mosè?»

Ma poi Susi inizia a tossire, le viene tutto il respiro grattato e allora papà deve aprire la cassa di latta, prendere una delle confezioni, mettere a Susi l’elastico attorno al braccio e farle la puntura. È diventato molto bravo, anche con la poca luce che c’è quaggiù, perché Susi si calma quasi subito e torna a respirare che non la sento. E allora anche papà torna a respirare, e tutto è di nuovo okay. Però diciamo che se potevi non morire era meglio, mamma.

Lo so che queste cose non te le devo dire, papà dice che ti faccio sentire in colpa e tu non hai nessuna colpa, che sei morta. Dice che funziona così. Sei in errore se: tu hai fame, prendi una barretta di semolino, la mangi, e poi scopri che è l’ultima, e che Susi e papà resteranno senza. Ma se tu hai fame, prendi una barretta di semolino, sai che è l’ultima e la mangi comunque, e non ti importa che Susi e papà rimarranno senza, allora sei in colpa. Dice che è sapere che fa la differenza. E tu non lo sapevi che in quel modo morivi. Però in errore lo sei sì, perché se fossi qua potresti dirmelo bene tu cosa sono i serpenti e perché si parlavano con i sussurri. Forse avevano tanti segreti. Forse sapevano i segreti della Terra, se li dicevano tutti preoccupati tra di loro e cercavano una soluzione. E forse erano talmente preoccupati che un giorno non si accorsero che uno degli uomini potenti era lì e li ascoltava. E che dopo aver sentito quelle cose, andava e chiamava tutti gli altri suoi amici potenti per fare una riunione di massima urgenza; e urlava: «I serpenti sanno i segreti della Terra, sanno che arriveranno i giorni del fuoco». E qualcuno degli altri gli rispondeva:

 «Siamo in pericolo, i papà non possono sapere quello che succederà, o per noi sarà la fine!» Allora un altro ordinava: «Non ci resta che eliminare tutti i serpenti, a me dispiace anche perché mio figlio Pietro ne ha una molto bello tutto rosso, però non possiamo correre il rischio». E così da quel giorno i serpenti sparirono e gli uomini potenti rimasero gli unici a sapere quello che sarebbe accaduto, e gli umani vissero felici e contenti senza andare nel panico. Per un po’, almeno.

Queste cose te le dico molto a bassa voce, mamma, spero che mi senti comunque, perché se papà ascolta che parlo degli uomini potenti si agita, e inizia a dire che loro la colpa ce l’hanno, perché loro sapevano. Lui no, noi no, dice con gli occhi per aria, altrimenti io e vostra madre non avremmo mai –

Si blocca sempre su quel mai, mamma, e abbassa la testa. Poi sospira per darsi forza e ci guarda; si inumidisce il pollice e me lo passa su e giù sulla guancia, come per cancellarmi via qualche segno. Sbuffa e solo allora riprende: «Non avremmo mai mangiato così tante bistecche». Io non so cosa siano queste bistecche, ma non mi va di chiederglielo perché, qualunque cosa siano, rendono ogni volta più pesante il suo pollice sulla mia guancia.

Noi quaggiù da mangiare ci siamo portati, come anche l’ultima volta, le bustine di cibo sintetico, che è una parola da grandi e mi piace tanto dirla. Papà quando stiamo su me lo chiede ogni giorno, Quante bustine nella credenza? Quarantasei bustine sintetiche, papà. Quante nello zaino dell’emergenza? Centouno bustine sintetiche, papà. Sono io che tengo il conto. In teoria è un compito da sorella maggiore, ma siccome Susi ha la cosa del respiro grattato e fa fatica non importa se lei ha tredici anni e io otto, è meglio che sia io a occuparmene. Non è cosa su cui possiamo essere poco seri, il numero di bustine di cibo sintetico, lo dice anche papà.

Ieri poi quando il suo orologio si è illuminato, abbiamo mangiato: papà già l’ultima volta aveva messo un tavolino e tre sedie di fronte ai materassi. È bello perché mi sento di avere come tutta una mappa disegnata nella testa, quaggiù: il mio materasso è quello più vicino al bagno, dista tre passi lunghi e mezzo. Di fianco a me, a un braccio di distanza, c’è il materasso di papà, e a un braccio dal suo c’è quello di Susi. Siccome quando parlo con te sto con il sedere poggiato a terra, le ginocchia al petto e la schiena contro il materasso, quando è l’ora del pranzo per raggiungere la mia sedia di fronte al tavolino mi basta: alzarmi, fare due passi di lato, uno in avanti, girarmi, ripoggiare il sedere. Papà allora prende lo zaino dell’emergenza, lo mette sulla sua sedia e dà un colpetto di tosse. Io e Susi lo sappiamo che è il segnale per iniziare a cantare, ma ci piace fare come se non capiamo. 

«Papà» scherza Susi: «non dirmi che è venuta la tosse anche a te!»

A me vien tanto da ridere per il suo tono. Papà tossisce di nuovo più convinto e lei insiste: «Sarà meglio che ti faccia io una puntura!»

E io giù ancora che rido con le mani a coppa sulla bocca.

«Va bene» dice allora papà: «me le mangerò io tutte queste bustine, da dove comincio…» e inizia a rovistare nello zaino. Allora noi gridiamo No! e ci mettiamo a cantare la canzone del Grazie Gesù. Così finalmente anche lui si siede e ognuno mangia la sua bustina.

Ieri durante il pranzo ci ha raccontato che questo tavolino era quello che usavate per le vacanze, per quando andavate in campeggio e dormivate nella tenda che montavi tu, che eri bravissima a piantare i picchetti; e la notte vi capitava di avere freddo e allora dormivate nello stesso sacco a pelo, e lui si addormentava con i tuoi capelli sulla faccia, e quando vi svegliavate bevevate il caffè preparato con la Moka elettrica, e poi facevate il bagno nel lago, nel fiume, nel mare, vi asciugavate al sole, vi mangiavate un panino, ripartivate via in macchina, con i finestrini abbassati, il vento veloce, le voci alte per riuscirvi a sentire, e la vita era così bella, eppure–

Si blocca sempre su quell’eppure, mamma. Poi sbuffa e lascia cadere le braccia sul tavolo. «Eppure per la fretta la Moka chissà dove l’abbiamo lasciata».

Dopo pranzo ci siamo messi tutti e tre sul materasso di papà. Io ho fatto per rannicchiarmi, ma papà ha detto che no, che dobbiamo stare sedute con le gambe incrociate, che non possiamo passare i giorni del fuoco a dormire, sennò ci rincitrulliamo. Allora ci siamo messi seduti come fossimo un triangolo, e io avevo un ginocchio contro quello un po’ secco di Susi e l’altro contro quello con i peli di papà. Papà dice che solo quando siamo così può iniziare. Questa volta ci sta raccontando le dieci piaghe di Egitto, tre al giorno, perché dovremmo stare qui quattro giorni in totale.

«Ma così l’ultimo giorno ne avremo solo una» ha detto Susi.

«Sì» risponde papà, «Perché quella più spaventosa merita più tempo». E poi così quando il quarto giorno inizieremo a sentire le sirene delle ambulanze – il segno che i soccorritori sono usciti a controllare la situazione – saremo molto sollevati. E dopo qualche ora suonerà la sirena e anche noi potremo tornare su.

Il segnale per iniziare a raccontare le storie è: papà che si schiarisce la gola. Poi lascia passare qualche secondo di silenzio, come per farsi meglio concentrato. Schiocca la lingua e comincia con la voce profonda. Ci dice che Dio voleva che il suo popolo fosse libero, perché gli Egizi gli sfruttavano tutto il tempo per costruire tante costruzioni. E loro erano stanchi e in più faceva un gran caldo, ma non potevano comunque mai fermarsi.

«Nemmeno per una bustina?»

«Nemmeno per una bustina».

Allora un giorno Dio dice a Mosè: «Vai a parlare con il faraone, digli che non può continuare a comportarsi in questa maniera! Che lui è un egoista e pensa solo alle sue belle costruzioni». Mosè prende il suo bastone e va.

Qui Susi ha interrotto la storia e ha chiesto: «Perché il bastone? Quanti anni ha Mosè?»

«Ottanta».

«OTTANTA?»

Io questo non me l’aspettavo per niente, mamma: quando me lo immagino, Mosè è un po’ come papà.

Il faraone comunque gli dice di no, a Mosè, che non è che si possono fermare con le costruzioni e tutto, che lui ha un piano da seguire. E Mosè lo avverte, glielo dice proprio: «Guarda faraone, Dio è molto dispiaciuto di questi tempi, sei sicuro di non voler liberare il suo popolo?»Ma il faraone tiene in mano le carte con i disegni dei progetti e neanche lo ascolta. Allora Dio dice a Mosè di andare sul Nilo, di battere il bastone due volte e di stendere la mano. Lo fa anche papà, stende la mano in mezzo al nostro triangolo e in quel momento la luce della lampadina inizia a lampeggiare più veloce.

L’acqua del Nilo diventa acida e rossa, tutti i pesci muoiono e vengono a galla. E anche gli stagni e i canali sono tutti acidi e rossi e gli Egizi non sanno più cosa bere.

Io allora pensavo che il faraone vedendo tutto quello si arrendeva, e chiedeva scusa ai pesci, e trovava un modo di pulire l’acqua. Invece no, dice papà. Purtroppo non va mai così.

Allora Mosè batte il bastone per terra e distende la mano. Le rane si moltiplicano, dato che i pesci non se le mangiano più, e Dio le manda a invadere le case degli Egizi, le manda nei loro letti, nei loro armadi, nei loro zaini delle emergenze. E il faraone, con i mari acidi e gli animali morti o fuori controllo, si gira dall’altra parte e pensa alle sue costruzioni.

Dio dice allora a Mosè di stendere il suo bastone e di alzare la polvere della terra – papà infatti si mette a battere le mani in mezzo a noi, sul materasso – e d’improvviso l’aria si fa ancora più calda e per questo motivo si riempie…

– Faccio la pausa come l’ha fatta lui, mamma. –

Si riempie di: zanzare. E le zanzare volano e pungono gli Egizi su tutto il corpo, gli portano una malattia che ora non mi ricordo come si chiama, perché appena papà ha nominato le zanzare mi è preso tutto da grattarmi le gambe e le braccia.

Poi Susi ha interrotto di nuovo per via del respiro grattato. Papà si è bloccato, ha preso la cassa di latta e le ha fatto la puntura.

Quando si è ripresa si è messa stesa sul suo materasso e ha fatto una domanda strana a papà: «Perché sulle ambulanze c’è scritto ambulanza al contrario?»

«Perché così chi guida può leggerlo nello specchietto retrovisore» le ha risposto lui.

Io mi sono ritirata sul mio materasso e ho pensato che il faraone non è in errore, ha proprio la colpa, perché sapeva che Dio avrebbe fatto quelle cose brutte. Volevo moltissimo chiedere a papà perché, perché pensare alle costruzioni se sai che arriveranno i mari acidi e le rane nel letto, ma lui stava ancora controllando Susi. Allora ho pensato che forse il faraone non ha un serpente fidato che lo consigli bene.

A metà pomeriggio, quando l’orologio si è di nuovo illuminato, papà ci ha dato una bottiglietta di acqua osmotizzata – un’altra parola da adulti che mi piace moltissimo. Abbiamo mangiato tutti e tre una bustina al tavolino, papà ha spento la luce – per fortuna stamattina si è riaccesa! – e ci siamo addormentati cantando Buonanotte oh Gesù.

Io ho sognato che una rana rossa stava a fianco a me sul cuscino e mi guardava dormire.

Ho avuto paura che mi mangiasse le orecchie, ma poi mi sono svegliata e ho pensato che posso parlare con te che sei così coraggiosa e ci credo a papà quando dice che piantavi benissimo i picchetti in campeggio.

Potevi non morire. So perché sei morta, ma potevi scegliere di no.

Tra poco l’orologio di papà si illuminerà e mi alzerò in piedi da terra, farò due passi di lato, uno in avanti, mi girerò, poggerò il sedere sulla sedia e mangerò una bustina.

Se per te va bene, i nostri ultimi secondi insieme di oggi li passerei in silenzio, mamma.

 Mamma, un altro giorno del fuoco è passato, oggi è iniziato il numero tre.

Stanotte abbiamo dovuto spostare i materassi perché i muri gocciolavano.

Io penso che Dio sia molto triste durante i giorni del fuoco. Lo so che non è come la primissima volta, quando sono arrivati all’improvviso e noi non li chiamavamo nemmeno ancora così, e non sapevamo che dovevamo tutti scendere giù. Però papà dice che comunque delle persone che muoiono ci sono ancora. Chi nel frattempo ha perso la casa, per esempio, o chi non si è procurato abbastanza bustine. Insomma, immagino che sì, Dio sia veramente triste durante i giorni del fuoco e per me va bene se ha scelto le nostre mura come posto per nascondersi e piangere. Anche se Papà dice che è una cosa che si chiama condensa.

Vorrei sapere cosa ti dice Susi, mamma. Perché la vedo tutto il tempo con la fronte poggiata sulle ginocchia. Poi ogni tanto tira su la testa e apre la bocca come per parlare. Ma la richiude subito e torna giù, quindi non so, forse lo fa solo per prendere più aria.

Ieri mentre eravamo seduti a triangolo sul materasso di papà ha dato un colpo di tosse. Allora io le ho fatto una carezza sul braccio: ho sentito tutti i buchini delle punture sulla sua pelle, e ho tolto subito via la mano.

Forse neanche questo dovrei dirti, perché sennò ti preoccupi. Però magari è giusto, che ti preoccupi, tipo del braccio di Susi o della luce che forse tra poco si spegne e ci lascia al buio.

Comunque mi dispiace che le ho tolto la mano così, ma il braccio di Susi non era bello da toccare. Poi papà si è messo a raccontare le piaghe numero quattro e cinque e sei, che non erano molto più belle delle prime, preparati.

In pratica, siccome l’aria ormai è calda, e Dio sempre più cocciuto, dice a Mosè di battere di nuovo il bastone e così, oltre alle zanzare, anche le zecche aumentano, e mordono gli Egizi e soprattutto i loro animali. E per cui, già che c’è, usa proprio questa come quinta piaga: Dio fa morire tutti gli animali degli Egizi. Rimangono solo rane, zecche e zanzare.

Qui papà ha fatto una pausa. «Questa è stata la cosa peggiore per vostra madre, quando sono morti tutti i gatti…»

Non ho capito bene cosa c’entri tu con gli Egizi. Volevo chiederlo, ma in quel momento, come sempre, Susi si è messa a tossire quindi tutti e due ci siamo concentrati su di lei, che però non ha avuto bisogno della puntura.

Papà ha tirato un respiro lungo e ha ripreso il racconto con l’ultima piaga della giornata, quella in cui Dio dice a Mosè di prendere una manciata di terra scura e di gettarla per aria. E d’improvviso diventa molto difficile per gli Egizi respirare, perché c’è come del fumo che gli entra nel naso e gli fa spuntare sulla pelle tutte delle grosse e schifose bolle rosse–

Susi ha rotto il triangolo, si è tirata in piedi. «Basta, lui è il faraone» gridava: «ha fatto costruire le piramidi, non può essere un idiota!» Camminava avanti a indietro: «Perché non si dà una svegliata?»

Papà si è stretto nelle spalle. «Finché lui e suo figlio stanno bene…»

C’è stato un po’ di silenzio, ma io me ne sono accorta dopo perché stavo cercando di ricordarmi quali animali erano i gatti, tra quelli che ci mostravi nei libri.

«È un idiota» ha detto poi Susi, con la voce che tremava e che doveva essere simile a quella che aveva Dio stanotte, quando si è messo a piangere sopra il nostro muro. «È un idiota lui e tutti quelli che hanno bisogno della scritta ambulanza per levarsi dalla strada!»

Papà si è alzato dal materasso.

«No ma dico, quanto sei idiota se con le luci e le sirene e tutto hai bisogno di una scritta al contrario per capire che il furgone dietro di te è un’ambulanza?»

Mi sa che mentre finiva la frase papà l’ha abbracciata perché le ultime parole era come se sbattevano contro il cotone.

Poi Susi ha iniziato a piangere e tossire insieme. Papà le ripeteva di stare calma, ma il suo respiro era molto grattato. Le ha fatto una puntura, ma non si calmava. Ha aperto la cassa di latta di nuovo e gliene ha fatto una seconda. A quel punto respirava meglio.

Io sono rimasta per tutto il tempo a gambe incrociate sul materasso di papà e pensavo a te, e a questa cosa che volevo dirti: Susi lo sa che se sei uscita durante i primissimi giorni del fuoco era perché dovevi prendere i farmaci per lei. Quindi facciamo così: io non faccio sentire in colpa te, ma tu non far sentire in colpa lei.

È iniziato il quarto giorno del fuoco, mamma. Spero che sentiremo presto le ambulanze perché Susi fa i respiri come se le prendesse ogni volta uno spavento.

Ha iniziato a fare così ieri mentre papà ci raccontava le piaghe sette, otto e nove. Tra la grandine fortissima che distruggeva le costruzioni del faraone, le cavallette giganti, e il cielo tutto nero che non faceva più vedere le persone tra di loro come noi fatichiamo a vederci con questa cavolo di luce, Susi ha iniziato a respirare con grande spavento.

Lo fa anche ora, mamma.

Parlo con te, ma guardo verso di lei.

Papà le ha dato una bottiglia di acqua osmotizzata in più, ma non è servita a molto.

Stanotte forse l’ho sentito piangere, ma non ne sono sicura, può essere che era di nuovo Dio. Aspetta, mamma.

Susi riprende a tossire, mamma.

Papà le dice di stare tranquilla, lei gli risponde di non agitarsi.

Tossisce secco, mamma, è come se non recupera in tempo il fiato. Papà prende la cassa di latta, sussurra qualcosa, apre la confezione di plastica, «Dio» dice, e lega l’elastico. «Stai tranquilla». Papà fa la puntura, mamma. «Ti prego» ripete.

Susi ispira forte, tossisce, «Tranquilla» papà apre un’altra confezione. «Mio Dio». Fa la puntura, Susi respira grattato, mi sa che ho capito, mamma. «Non mi lasciare». Papà apre un’altra confezione. Mi sa che ho capito qual è l’ultima piaga.

Ma non è colpa di nessuno, vero mamma?

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