Le cose che fa sono semplici e giuste. Baumgartner si alza, legge, scrive libri di fenomenologia, prepara panini al formaggio, per qualche mese frequenta una donna molto intelligente, risponde alle chiamate di sua sorella, si dimentica di riparare la luce della cantina. Una vita grande, composta da piccole cose, come quella di tutti. Si è detto che ogni romanzo di Paul Auster sia in questo libro e che queste pagine siano il suo testamento letterario. Bisognerebbe conoscere il futuro per saperlo con certezza, ma si andrebbe contro lo spirito stesso del libro, che invece invoca il passato e lo racconta con tenerezza e ironia. Sicuramente in Baumgartner si legge la penna austeriana più pura e scorrevole, a tratti lineare, nonostante i salti temporali, la trascrizione dei manoscritti della moglie del protagonista e lo spazio dedicato alla poesia di lei. È il testo dove l’autore riporta con più chiarezza la storia della sua scrittura, di come si è evoluta negli anni, e riesce a farlo proprio parlandone a posteriori. Seymour Baumgartner è un vedovo di circa settant’anni, professore a Princeton, scrittore, filosofo. Sua moglie Anna è morta dieci anni prima, travolta da un’onda anomala durante una vacanza; era una giornalista e critica, e si è lasciata alle spalle una vita di scritti mai pubblicati, la cui lettura di alcuni di essi fa da intermezzo con la trama e scandisce il ritmo del romanzo. Sono poesie e racconti autobiografici che il marito ritrova anni dopo la morte di lei, quando ha il coraggio di entrare nella stanza dove lei lavorava. La loro storia emerge da questi testi, arriva al lettore grazie alla voce in prima persona di Anna, e crea un distacco dal racconto in terza persona dell’intero romanzo. Anna è la coprotagonista di Baumgartner per tutta la durata del testo, anche quando intervengono altre donne, e lo è in assenza, come se la loro storia d’amore, unico punto focale dell’intera narrazione, sia completa solo a posteriori, dopo che tutto quanto è già accaduto e non rimane altro che il ricordo. Ed è grazie al ricordo che il romanzo riesce a contenere le tante sottotrame tipiche dello stile di Auster: una ricostruzione della storia della famiglia del protagonista, uno sguardo alla filosofia che affronta nei suoi testi e un racconto dettagliato della storia personale di Baumgartner costruito a ritroso. Non troviamo rabbia o incredulità di fronte alla tragedia che ha segnato il prima e il dopo nella vita del protagonista, ma riconosciamo uno sforzo faticosissimo di comprensione del dolore, quello che Joan Didion ha chiamato il pensiero magico.
Vivere è provare dolore, si era detto, e vivere con la paura del dolore significa non voler vivere.
Lo scrittore descrive il sentimento successivo alla scomparsa della persona amata come la percezione di un arto fantasma. Baumgartner ne sta addirittura scrivendo un saggio, che verrà pubblicato dalla sua casa editrice di fiducia, non a caso quella che la moglie aveva contribuito a fondare trent’anni prima quando erano solo fidanzati. Per lui in queste pagine la persona fantasma è Anna, ma sa che in futuro sarà lui per qualcun altro: per anni ci si porterà appresso questa entità, ancorata al nostro corpo di vivi, alle nostre giornate, al nostro sonno. Poi, in un momento qualsiasi, scopriremo di non farci più caso, non sentiremo più la necessità di darle consistenza. Il protagonista impiega dieci anni prima di riuscire ad accedere alla parte di Anna rimasta a lui sconosciuta, intanto ha ricominciato a vivere, a lavorare, a frequentare altre persone, arrivando persino a innamorarsi di nuovo. Ma l’accesso allo studio della moglie, la lettura dei testi di lei, arriva solo con quella che si potrebbe definire la sesta fase del lutto, quella in cui si libera l’altra persona dalla percezione che abbiamo sempre avuto di lei: non è più qualcuno che prima era vivo e poi è morto, ma diventa altro, diventa un’entità che, sempre in assenza, dice e agisce tramite chi la ricorda. Paul Auster ce lo spiega in modo quasi didascalico grazie alla decisione di Baumgartner di dare tutti i testi di Anna a una studentessa che scriverà la tesi sulle sue opere, riunendole per la prima volta in un corpus organico e completo. In questo modo Anna è altro da quello che abbiamo sempre saputo di lei grazie ai racconti del marito, diventa se stessa.
Il Baumgartner di Paul Auster ci insegna (involontariamente?) a essere vivi quando la vita finisce, ad andare a fondo di un sentimento quando il sentimento è così lontano che si scompone in mille piccole sensazioni, frammenti di testo recuperati in fondo a uno scatolone. Non c’è religione in questo libro, non c’è mistero: c’è un messaggio di spiritualità che è come un manuale di istruzioni, veicolato con una tale delicatezza da arrivare a ciascuno di noi, o forse a qualcuno in particolare.
Se una storia risulta così potente e sbalorditiva da lasciarci a bocca aperta e ci dà la sensazione di aver cambiato o arricchito o approfondito la nostra visione del mondo, è importante che sia vera?