Ogni terzo lunedì del mese, alle undici precise del mattino, la nuvola infila la finestra delle sorelle Achille. Si sono abituate, Clara e Teresa, a quelle visite. E così, negli anni, ogni terzo lunedì del mese si sono sempre fatte trovare a casa, in attesa della nuvola, senza troppe cerimonie. Clara sul divano rosso, ostentatamente annoiata, si volta verso la finestra via via che l’ora si avvicina. Teresa invece è più trasparente. Tutte le volte la invade una strana premura e all’arrivo della nuvola è sempre affaccendata in qualche lavoro per la casa. Pochi secondi prima delle undici però, spinta da un istinto muto nelle ossa, è sull’attenti accanto al divano, girata anche lei verso la finestra. Le sorelle Achille sanno che la nuvola sceglierà una sola di loro, e che prevedere chi sarà è impossibile. Tuttavia quell’imperscrutabile giudizio non ha mai causato la ben che minima invidia fra le due, né alcuna antipatia. Sin dall’inizio, Clara e Teresa non avevano parlato di quel che succedeva loro quando la nuvola le portava via. Forse non gli interessava, o se ne scordavano. Forse lo sapevano già, perciò non sentivano il bisogno di discuterne. Quel che accadeva a una, dopo tutto, doveva accadere anche all’altra. Forse se ne vergognavano. Un mese la nuvola prendeva Clara, e l’avrebbe presa anche per i mesi successivi, magari per l’intero anno seguente. Un altro mese invece portava via Teresa, e quello dopo avrebbe preferito ancora lei. Assurdamente, però, quella casualità sembrava giustificarsi in modo naturale – sognarsi che potesse andare diversamente sarebbe stata semplice stupidità, più che un capriccio.

Alle undici precise l’organismo vaporoso della nuvola si presenta alla finestra delle sorelle Achille. Teresa e Clara sono lì. Succede da anni, ma vedere quel lento apparire gigantesco al loro sesto piano le mette dentro tutte le volte una certa profondissima attenzione. Doveva trattarsi, ormai se n’erano convinte, della stessa agitazione quieta e silenziosa che atterriva anche i primi uomini, quando nei boschi innevati incontravano i mammuth. Quel lunedì la nuvola prese Clara.
Era appena entrata dalla finestra – densa corrente di mare bianco – quando si mosse in modo inequivocabile verso il divano. Clara si alzò di scatto; insieme Teresa compì un rigido dietrofront, sparendo nella sua camera, Clara non la vide nemmeno. Un altro passo e, per un istante, prima che Clara diventasse dello stesso vapore della nuvola, nell’iridescente trasparenza della fusione dei corpi s’intravide un maestoso spalancarsi d’ali. Poi il vapore si ritrasse, e con esso Clara, migrata nella sostanza della nuvola. Nella sua camera, intanto, Teresa piangeva. Così era sempre.

Il terzo lunedì del mese successivo le sorelle erano a casa, ma la nuvola non venne. A Teresa bastò guardare Clara per capire.

Atlantico settentrionale. Il cielo si sta chiudendo, sopra l’isola. Un vento gelido che soffia dal mare abbate le onde sulla costa con un frastuono d’incendio. In cima alla scogliera una casa, così piccola e dispersa contro lo scurirsi dell’orizzonte che a guardarla così, lì deposta, sembra un uovo preistorico lasciato indietro, dimenticato il giorno in cui gli uccelli migrarono a sud. Le due piccole finestre, benché la notte sia ancora di là da venire, inquadrano soltanto il buio. Clara cerca di respirare, di restare calma. Accanto al letto dov’è distesa, posata su un tavolo, una vecchia lampada a olio rischiara debolmente la stanza. Non c’è elettricità, la lampada è l’unica fonte di illuminazione che dal suo giaciglio le permette di vedere che vicino al tavolo c’è ancora la sedia, l’armadio addossato alla parete di sinistra, e più in fondo il profilo in ombra della porta, sbattuta violentemente dalle raffiche di vento. Sembra che da un momento all’altro la tempesta possa sfondare le finestre, portare la notte dentro casa, ma non ancora, ancora no, e prima che tutto precipiti si spande il silenzio – poi l’imbuto del ciclone si schianta sulla casa, e nel boato dei tuoni Clara partorisce il figlio della nuvola, nato adulto. Con le penne velate da una fragile gabbia di sangue, del suo sangue e di quello di Clara, l’animale la osserva, lei, quasi senza vita, e fa schioccare per la prima volta la mandibola. Ruota la testa, gli artigli conficcati nel ventre della madre. Occhi immobili, di ambra. La osserva morire: senza amore.

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