Il 6 agosto del 1984, Ada aveva scoperto di essere storta. La cosa non aveva a che fare con una certa predisposizione alla rabbia, o con il ghigno dovuto a quest’ultima, anzi. Ada aveva scoperto di essere storta nel senso più materiale possibile: curva, inclinata, irregolare, deforme. Aveva otto anni e non si spiegava come fosse possibile che in una giornata come quella – una giornata al mare, con il suo costume preferito verde cangiante e le pesche come merenda – si fosse ritrovata a passare da uno stato di assoluta incoscienza alla consapevolezza di non aver mai osservato il suo corpo con la dovuta attenzione. Suo padre l’aveva chiamata sotto l’ombrellone e le aveva detto: girati, fammi vedere una cosa. Ada aveva tirato fuori i piedi dalla sabbia, li teneva sempre così perché le piaceva scavare in profondità fino a sentire l’umidità dell’acqua salata. Aveva raggiunto i genitori, la madre le aveva tirato su i capelli e l’avevano osservata, studiata. Lei era rimasta in silenzio, immaginando di avere qualche strano segno sulla pelle: una puntura di insetto, una macchia asimmetrica, un graffio, le ortiche, gli oleandri. Torna a giocare, aveva detto suo padre. E Ada era tornata al solco creato dai suoi piedi nella sabbia, a sentire l’umido.

Quella sera Ada si era messa a letto e, nonostante la pelle appiccicosa per il sudore, aveva tirato su il lenzuolo azzurro fino al mento per proteggersi. Non aveva ben chiaro da cosa dovesse proteggersi, ma sentiva che lì, al di là del suo letto – o forse sotto, o forse sopra, da qualche parte nell’oscurità –, qualcosa di terribile la minacciava. In quello stato di torpore e incertezza, il lenzuolo si era trasformato in mare e lei ora indossava di nuovo il suo costume preferito verde cangiante e sulla faccia una maschera da sub che evidentemente era troppo grande perché l’acqua riusciva a entrare negli occhi, nel naso, ovunque. Poi l’aveva vista, la sagoma di un pesce gigante che, in un tempo troppo breve perché potesse rendersene conto, aveva nuotato fino a raggiungerla. Il pesce l’aveva fissata, scrutata. Ada sapeva che quello aveva indovinato il suo smarrimento e, prima che potesse pensare o fare qualsiasi cosa, aveva sentito un bruciore sulla schiena – era stato un istante, una parte minuscola di un minuscolo secondo. Si era voltata, ma il pesce gigante non c’era più. 

Subito aveva scacciato via il suo lenzuolo azzurro – che era di nuovo lenzuolo e non più mare –, ed era corsa in bagno. Si era posizionata davanti allo specchio, aveva sfilato in fretta la canotta e si era girata in modo da vedere il suo profilo destro, in punta di piedi. Non riusciva a convincersi che quel riflesso fosse proprio il suo.

Doveva dirlo ai suoi genitori: guardate, il morso del pesce, guardate, ho la pinna dorsale. 

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