Sei tornata a casa e niente, nessuno ti aspettava. Ti sei chiusa dentro, tolta le scarpe, messa il pigiama di tuo papà, gettata litri e litri inutili di acqua ghiacciata in faccia – da te l’acqua era sempre ghiacciata, il boiler acceso sempre fonte di sensi di colpa – e ti sei stesa sul tappeto della sala, il pelo corto che ti accarezzava e irritava le guance, le briciole dei taralli al peperoncino di Luca, il terriccio incastrato nei tacchetti delle sue scarpe da calcio, i mucchi di polvere come soffioni grigiastri, tutto ormai parte integrante di quel tappeto che avete ereditato alla morte di vostro nonno, o che forse avete rubato prima che lui si mummificasse del tutto, che tanto non se ne faceva niente e non se ne sarebbe neanche accorto. Se ne stava seduto da anni sulla poltrona in camera sua, immobile, con la penna stilografica in mano e la Settimana Enigmistica che gli compravi ogni giovedì sulle ginocchia, se ne stava in silenzio ad ascoltare i gemiti quotidiani dei vicini e non alzava neanche la testa e tu allora gli hai rubato i cuscini, i maglioni di lana, l’argenteria, il pigiama di tuo papà, litri di acqua bollente e forse anche il tappeto, finché non gli hai svuotato casa e lui non è rimasto solo con la sua penna e la sua Settimana Enigmistica sgualcita, mai aperta e mai iniziata, con la copertina che ritraeva Papa Ratzinger, Michelle Obama o Cassano tutti sfregiati da un paio di baffi blu stilografici. Quando poi è morto vi ha lasciato, insieme alla legittimità del tappeto, la casa in centro che tua mamma ha subito venduto al ribasso, scontata come fosse all’outlet, per liquidare i debiti contratti in tutti questi anni in cui tuo papà è sparito. È sparito, dicevi, è andato a prendere le sigarette, dicevi, e non è più tornato, è scappato in Messico, è andato a prendere il latte che ora, dopo tutti questi anni, sarà pieno di muffa, dicevi, sarà un microhabitat di organismi monocellulari e lui si troverà da dio là in mezzo a loro, scherzavi. Scherzavi?
Venduta la casa e saldati i debiti non vi è rimasto nulla, avete vissuto dei seicento euro mensili che hai portato a casa in questi anni in cui, mentre Luca era a calcio e tua mamma provava a ringiovanire e a rifarsi una vita chissà dove e chissà con chi, hai dovuto sopportare il fiato paludoso dei vecchi che si avvicinavano al bancone del bar, i loro occhietti lampeggianti, le loro mani unte, la loro saliva che fuoriusciva libera in mezzo ai premolari mancanti. Hai passato gli ultimi anni a servire birre e spritz e bianchi da un euro a vecchi che non erano interessati né alle birre, né agli spritz, né tantomeno ai bianchi da un euro, vecchi interessati solo al tuo seno che, insieme all’alcol, annientava i loro freni inibitori e che la titolare del bar guardava con invidioso disprezzo, convincendosi che la prosperosità del tuo corpo fosse direttamente proporzionale alla sua magnanimità e alla tua inettitudine, e ti chiedeva cosa avresti fatto dopo aver passato il mocio e lavato i bicchieri, con lo sguardo insinuante e strabico, con un occhio puntato sul tuo seno e un altro sui vecchi che ti aspettavano fuori litigando per chi avrebbe dovuto accompagnarti a casa quella sera, per chi avrebbe potuto allungare una mano unta e salata oltre la tua coscia sinistra.
Anche stasera non hai ceduto, sei tornata a casa a piedi, hai aperto e chiuso il portone e niente, nessuno ti aspettava, e anche stasera ti sei stesa sul tappeto e hai aspettato che il pelo corto ti irritasse le guance, e quando hai alzato la testa hai trovato solo terra, polvere e briciole di taralli al peperoncino. Dicevi a Luca di togliersi le scarpette da calcio prima di entrare in casa, gli dicevi di non mangiare in sala e che se voleva mangiare in sala doveva mangiare qualcosa che non sbriciolasse, certamente non i taralli al peperoncino, che mangiasse un budino, una banana, un Kinder Brioss, una fetta di torta – non la margherita, la torta margherita sbriciolava –, gli dicevi che se voleva mangiare qualcosa che sbriciolava doveva andare fuori, sul balconcino, ignorando che a Luca quel balconcino innescava brutti ricordi e fantasmi dai contorni definiti, quel balconcino proiettava nei suoi occhi le immagini a scatti di tuo papà che scavalca il parapetto e si tiene con le due mani dietro la schiena e immobile guarda il vuoto come tuo nonno guardava la Settimana Enigmistica, evocava nelle sue orecchie il suono della sua stessa voce che urla Papi no ti prego ti vogliamo bene ti voglio bene Giulia ti vuole bene, nella sua testa i movimenti di lui che si gira, si sistema i baffi, sorride e sorridendo si butta di sotto, nelle sue costole le vibrazioni della gabbia toracica sfracellata contro il parchimetro e nella sua bocca il sorriso che impostava sempre tuo papà quando doveva fare qualcosa di tragico, come se non gli importasse mai nulla, come se fosse una cosa da nulla ammazzarsi e andare all’inferno davanti a suo figlio. E Luca, che voleva proteggerti e darti l’opportunità di mangiare ancora serena sul balconcino, al contrario suo, a sedici anni è diventato un uomo mentre tu, a vent’anni, sei rimasta una ragazzina che ignorava, che non credeva alla storia dell’incidente in moto, che pensava che quella bara fosse vuota e che il corpo di suo papà fosse vivo in Messico in mezzo a un mare di latte e sigarette, che non credeva alla definitività della morte ma al proposito volontario della fuga e alla possibilità che un giorno o l’altro tornasse a casa.
Ogni sera torni a casa e niente, nessuno ti aspetta, ti stendi sul tappeto e mentre pensi a tuo nonno, ai baffi blu stilografici su Kobe Bryant, Monica Vitti e Mick Jagger, a quei baffi arricciati che non aveva ereditato nemmeno Luca, che solo io ho portato per qualche mese e che forse sono stati il motivo per cui ti sei innamorata di me e che pretendevi che lasciassi, mentre pensi al suono grattato della penna stilografica di tuo nonno che disegna baffi su chiunque e ti chiedi se quel suono arrivasse fino ai vicini come i loro gemiti arrivavano a lui, mentre la tua mente proietta baffi su chiunque inizi a ridere, ansimi e fischi come il boiler quando crea sensi di colpa, sopporti il prurito sotto al palato e l’arrossarsi degli occhi e lecchi il pelo corto del tappeto, hai fame di taralli al peperoncino, di terra, di polvere e ogni sera quella è la tua cena.
È tutto ok.