La fantascienza come nuova teologia

“Una breve visita” di Andrea Betti

Quando ho visto Porcile di Pasolini, mi ha affascinato la figura di Julian, un giovane che si rifiuta di seguire le orme del padre industriale per opporsi a ciò di cui questi è emblema: una società alienante e antropofaga. Julian, per tentare di risolvere il conflitto tra l’io imposto e l’io percepito, prima cade in catatonia, poi, vista l’impossibilità di fuggire da se stesso, si lascia mangiare dai suini con i quali era solito intrattenere rapporti anali. Non ho subito la fascinazione della zoofilia di Julian, ma dello stato di catatonia in cui cade.

Di recente, un altro catatonico ha catturato la mia attenzione: si tratta di Marcus, uno dei personaggi che punteggiano Una breve visita, il romanzo d’esordio di Andrea Betti uscito per Wojtek Edizioni nella collana Orso Bruno. Marcus cade in catatonia dopo che i Cilestrini, entità umanoidi con la pelle celeste chiaro, capitano sulla Terra per un weekend. Il vulnus, che scalza la visione antropocentrica tipica di certe narrazioni fantascientifiche, è l’indifferenza: queste entità non considerano minimamente gli uomini e la loro cultura (in senso ampio); uno di loro si sofferma alla Pinacoteca di Brera di fronte alla Pala di Montefeltro, altri sono visti agli Uffizi che ridacchiano con fruscii simili a quelli delle vecchie TV sui canali morti mentre osservano interdetti la Primavera, prima di ripartire in direzione dell’Isolotto. I Cilestrini visitano le maggiori città d’arte e vengono organizzati per loro concerti, processioni e preghiere collettive: tutti tentativi velleitari. Il mancato contatto con queste creature provoca all’umanità il Trauma dell’Abbandono di Specie e getta una parte di essa nella Panacedia, una sorta di depressione che conduce perfino a suicidi di massa. 

Perché questi esseri sono venuti? Nel romanzo, l’interrogativo rimane aperto. I Cilestrini sono arrivati veloci come sono ripartiti, forse disgustati dalla doppia morale dell’umanità, una specie lurca descritta da Pasolini e che, di nuovo, come già accaduto nel corso della Storia, scopre di non essere il punto focale dell’universo. Sulla Terra si sfarinano le religioni monoteiste, crollano le connessioni internet e ogni forma di comunicazione. Il tempo viene calcolato tra Prima e Dopo la comparsa dei Cilestrini, figure che intendo, in questa mia interpretazione del testo di Betti, come cristologiche. Nel Dopo nascono alcuni movimenti che sono la trasposizione tribale di questa disperazione: gli SVA, ovvero il Movimento per la Svalutazione Umana, secondo cui l’umanità è colpevole di essere apparsa bieca e scontata ai Cilestrini, e i RAD, Movimento di eradicazione culturale che ha ideato un metodo in cinque fasi per la perdita dell’uso della parola e riportare l’umanità allo stadio animale. Ma non è tutto da buttare, il nichilismo non ha preso il sopravvento, alcuni valori hanno ancora rilevanza. Sopravvivono infatti l’arte e la scienza, grazie a Eugen Urmach e al professor Gustav Amirani. Quest’ultimo, astrofisico e filosofo, fa la spola tra Antartide ed Europa con la sua milizia, tentando di salvare il patrimonio artistico dell’umanità.

La storia viene raccontata da un monaco Kibernetes che si sveglia dalla criogenesi quattrocento anni nel Dopo e reagisce allo shock scrivendo un diario afono e maldestro, cercando di rimarginare la propria ferita e quella dell’umanità. L’intero romanzo è infatti una ricostruzione postuma della breve visita dei Cilestrini, un’operazione sostenuta dall’Ordine Kibernetes, monaci che si occupano di riordinare la storia dell’umanità attraverso le sue memorie sonore. L’operazione di “archeologia sonora” è imperfetta e in divenire, con dei buchi temporali che lasciano spazio a speculazioni di varia natura. Non a caso, la struttura stessa del romanzo, la frammentarietà dei capitoli e la pluralità di registri sono funzionali a questo scopo.

Nel Dopo, nella amena Manhattan celeste, luogo di pellegrinaggio, moderna Gerusalemme, Mecca o Varanasi, è stata edificata una sorta di torre “Anti-babelica” chiamata Trump Tower. Sulla soglia dell’ascensore, tra lastre di bronzo che riproducono la maschera funeraria di Agamennone, spicca il seguente motto: Speculum Et Ænigmate. Il rimando è a uno dei più importanti adagi del pensiero cristiano, l’affermazione di Paolo di Tarso contenuta nella prima lettera ai Corinzi (13,12), il cui senso è questo: noi uomini, senza Dio, vediamo e conosciamo in modo confuso, come in uno specchio, ma quando lo vedremo, tutto sarà chiaro e conosceremo perfettamente. Si tratta di un dogma cristiano fissato nel 1336 da Papa Benedetto XII, per il quale la beatitudine del fedele consiste nella visio beatifica, ovvero quella visione intuitiva a cui l’anima del cristiano, purificata da ogni imperfezione, può attingere tramite intelletto, immediatamente dopo la morte o dopo un periodo trascorso in purgatorio, anche prima del giudizio finale. Tale beatitudine è l’accesso alla visione diretta di Dio, come già aveva scritto nella Summa Theologiae Tommaso d’Aquino (I, II, q. 5 a.). La Questio controversa che nel 1331 costò l’accusa di eresia a Papa Giovanni XXII, il quale riteneva che le anime di coloro che morivano avendo ottemperato ai comandamenti divini non avessero accesso alla visione beatifica del divino fino al momento in cui non si fossero ricongiunte coi rispettivi corpi gloriosi, ossia dopo il giudizio finale.

Nel suo lavoro, Betti presenta un’umanità del Dopo irredenta intrappolata in un eterno presente, alla ricerca di un significato che, sotto un’apparente sincretismo, si lega a una metafisica duale (l’aldilà e l’aldiquà), dunque teologica e tipicamente occidentale. L’impalcatura concettuale del testo di Betti è cristiana, con la tipica concezione del tempo “a freccia”; e lo sono anche, strutturalmente, per derivazione, la scienza, la psicoanalisi e il marxismo.

Credo che, nella contemporaneità, scrivere di fantascienza e di alieni sia un modo di continuare a fare teologia, ovvero di continuare a pensare all’alterità di Dio, di cui gli alieni appaiono come la reificazione. Se Weber ci ha detto che viviamo in un mondo secolarizzato e disincantato, dove le istituzioni religiose hanno perso il controllo sulla morale degli individui, e se Schopenhauer ha sostenuto che l’uomo è un animale metafisico assetato di senso, allora la fantascienza, storicamente legata al misticismo e all’esoterismo, va a riempire il vuoto spirituale dell’uomo contemporaneo.

Nell’impianto cristiano della fantascienza, anche nella sua versione più distopica, vi è sempre una malcelata teologia in cui la morte non è mai annullamento o ritorno al ciclo delle rinascite, o per le anime che abbiano ben impiegato il loro vivere e risolto il loro karma, l’assorbimento nel Brahman, il nirvana. Per noi occidentali, l’anima, la coscienza e l’identità nascono con uno scopo che continuano a perseguire, nel regno dei cieli, dopo la morte corporea.

Alcuni esempi potrebbero essere tratti dalla fantascienza mistica di Martinson nel poema Aniara, con la migrazione o il trasferimento su Marte, oppure in Infinito di Stapledon, che narra la storia di una umanità futura che si evolve e si trasforma nell’arco di molti millenni, dove lo stadio dell’esistenza meramente fisica è solo una delle forme che l’anima attraversa per compiere un viaggio di cui ignora la meta ultima, costruendo su questa incertezza la fede e la speranza di approdare nel regno dei cieli, alla “terra promessa”.

Queste considerazioni sul testo di Betti, in continuità con la tradizione occidentale che viene “dai ruderi, dalle chiese e dalle pale d’altare”, mi riportano, nella speranza di chiudere il cerchio, di nuovo a Pasolini.

C’è un mediometraggio di Pasolini del 1963 intitolato La ricotta, e anche un capitolo del testo di Betti ha lo stesso titolo. Il film fa parte di un progetto di quattro episodi dal titolo Ro.Go.Pa.G, sigla che identifica i registi che firmarono i quattro segmenti, e punta a interpretare la condizione dell’uomo moderno durante il boom economico. Per il suo episodio, Pasolini fu condannato a quattro anni di reclusione per vilipendio alla religione, poi assolto poiché il verdetto fu annullato dalla Cassazione.

Il segmento descrive le vicende di una troupe intenta a girare un film sulla passione di Cristo e segue Giovanni Stracci, che interpreta uno dei due ladroni. Stracci, un pover’uomo arruolato per fare da comparsa, famelico e deriso, morirà poi d’indigestione sulla croce, ingoiato da una società antropofagica in attesa di redenzione.

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