Mia madre aveva un unico problema. Quel problema ero io. 

Incarnavo tutto quello che a lei non piaceva e che trovava disdicevole in una ragazza. Un maglione colorato e un paio di jeans. Non quelle belle pellicce da signorina e scarpe con il tacco come voleva lei. Mi sono sempre chiesta come fanno le donne a vestirsi eleganti in pieno inverno. Le calze così fini e quei cappotti, che appena metti un maglione un po’ più spesso, neanche si chiudono. Mia madre si vestita esattamente così. 

A Torino d’inverno fa molto freddo. Il mio giubbotto enorme non piaceva a mia madre. Diceva che sembravo una tossica degli anni Ottanta e che se non mi fossi data una regolata la mia vita sarebbe stata un vero disastro. Perché, anche se sembra non contare niente, l’apparenza è tutto. L’estetica ci salva la vita e ci fa arrivare lontano. 

Mia madre lavorava come commessa in un negozio e si faceva mantenere da mio padre che appena aveva potuto si era trasferito a Bologna con Marianna, una donna normale che non giudicava le persone per come si vestivano. Non mi era dispiaciuto che papà avesse cambiato città. Lo avrei fatto anche io se Torino non mi fosse piaciuta così tanto. Quel vento freddo che veniva dalle montagne mi faceva stare bene. Mi faceva muovere tutti i capelli e mi dava la sensazione di averne tantissimi. Anche se ne ho sempre avuti pochi e sottili e forse tra tutte le cose che mia madre odiava di me questa la faceva incazzare più di tutte. Perché lei aveva mille difetti, ma aveva i capelli più belli che avessi mai visto. Lunghi fino sotto al seno, mossi, lucidi, e di quel color miele di tiglio che si fa fatica a pensare che sia naturale. E invece lo era. 

Io non davo nessuna importanza ai miei capelli. Non erano sicuramente il mio biglietto da visita, ma per mia madre erano ciò che dava senso alla sua esistenza. Per tutta la vita mi aveva ripetuto che se non avessi messo a posto la mia chioma e l’abbigliamento non sarei andata da nessuna parte. Era quasi una persecuzione. Ma anche gli unici momenti nei quali mi dedicava delle attenzioni. 

Mentre dormivo, me la trovavo in camera che cercava di toccarmi i capelli, spalmarmi delle maschere o farmi acconciature, che secondo Carmen, la sua amica parrucchiera, mi avrebbero aiutato. “Ascolta Carmen tua, questa è la soluzione: dormire con fette di cipolla tra le ciocche. Vedrai che differenza in solo due mesi”. Casa nostra era piena di cipolle. E di una serie di prodotti molto costosi per i suoi bellissimi capelli. Spume con nomi assurdi che arrivavano da paesi lontani e con proprietà misteriose. Allunganti. Lucidanti. Volumizzanti. Maschere di argilla. Henné. Qualsiasi cosa potesse rendere la sua criniera ancora più spettacolare. In ogni angolo della casa c’era un prodotto diverso. Solo per lei. Mia madre non era una bella donna, ma i suoi capelli la rendevano quasi divina, come una Venere del Botticelli. In quei suoi boccoli e quel biondo c’era un fascino inspiegabile. Aveva quattro tipi di spazzole e le sue giornate prendevano senso solo se era giornata di shampoo. 

Io e mia madre non parlavamo tanto e neanche spesso, ma quando lo facevamo usciva sempre la questione capelli. In realtà parlava solo lei. Dei suoi problemi e della sua vita, delle sue amiche e di quanto fosse stressata. Io esistevo poco. Proprio per questo avevo imparato fin da piccola a farmi i fatti miei e a essere indipendente. Perché mia madre non era quel tipo di genitore che si fa in quattro per aiutarti. Aveva sempre qualcosa di importante da fare. E il suo problema era comunque più rilevante del tuo. Io non potevo certo confidarle qualcosa di mio. Perché per lei io ero svogliata, vestita male e sciatta. Erano le uniche cose che mi diceva. Non mi aveva mai ascoltato veramente. 

Era talmente presa da sé stessa che neanche sapeva che stavo cercando lavoro. Avevo studiato come cuoca. 

Non mi sono mai vantata ma, a detta di tutti, facevo dei primi da capogiro. Fare i primi piatti mi dava la sensazione che chi li mangiasse si sentisse amato e coccolato come quando la mamma ti cucina qualcosa di buono e ti fa sentire al sicuro. E visto che io non avevo avuto questa fortuna mi sarebbe piaciuto che qualcun’altro potesse farlo al posto mio. Ovviamente mia madre non aveva mai mangiato niente di preparato da me. Una mattina mi arrivò una telefonata da un numero sconosciuto. 

Era il proprietario di un famosissimo ristorante di Torino. 

Voleva vedermi per il servizio della sera. Qualche tempo prima avevo mandato il mio curriculum e aspettavo una risposta. 

Era una delle più belle notizie che avessi ricevuto negli ultimi tre anni. Non dissi niente a mia madre. Non mi avrebbe ascoltato. Quel giorno era giorno di shampoo e nulla poteva interferire con quel suo impegno. 

Alle sei ero pronta e uscii di casa. Mia madre si stava preparando per una serata con delle amiche. Aveva passato tutto il giorno a pettinarsi e questa volta al posto delle cipolle aveva deciso di usare le banane che a dire di Carmen avevano proprietà antiossidanti e super benefiche. 

Cercai di mettermi carina. Molto semplice. Decisi di pettinare i capelli con il gel e tirarmeli indietro. A nessuno doveva interessare del mio aspetto. 

Il servizio andò benissimo. Ricevetti tantissimi complimenti. “I tuoi primi, a detta dei nostri clienti, sono spettacolari. Si sente l’amore nel piatto. Non ci potevo credere. E nessuno mi aveva detto che per cucinare bene non dovevo essere curata e carina. In cucina i capelli erano proprio un incubo. Un capello nel piatto è la fine di qualsiasi ristorante di lusso. Salutai il proprietario che mi abbracciò e mi disse che il giorno dopo mi avrebbe fatto firmare il contratto. Con un contratto come quello potevo permettermi una casa tutta mia. Avrei potuto vivere lontano da lei. Avrei potuto allontanarmi da mia madre che finalmente sarebbe diventata un’estranea. Ero certa che non mi avrebbe cercato. E non sarei stata più vittima dei suoi attacchi notturni. 

Il giorno dopo mi svegliai. Non avevo idea di dove fosse mia madre. 

Mi arrivò una telefonata. Era il proprietario del ristorante. Risposi con disinvoltura. Dopo mille scuse il proprietario del ristorante mi disse che non poteva assumermi. Una donna era a cena nel suo ristorante la sera prima con delle amiche. E diceva di avermi visto in cucina. Il proprietario si doveva fidare, perché lei aveva dichiarato di curare l’immagine di diverse aziende e dopo avermi visto aveva capito che io non ero la persona giusta. Disse che una persona come me, poco curata, avrebbe sicuramente rovinato la reputazione del suo ristorante. Sciatta e trasandata, come poteva sperare di lavorare in un posto come quello? Quella donna era stata molto convincente e lui si era fidato. E nonostante i miei piatti fossero molto buoni l’immagine del ristorante era troppo importante. Il proprietario del ristorante disse solo che questa donna aveva dei capelli incredibili, talmente belli che per i primi minuti nei quali le aveva parlato non era riuscito a distogliere lo sguardo dai suoi boccoli. Di un color miele che si fa fatica a credere reale. Mi si gelò il sangue e per dieci secondi smisi di respirare. Misi giù senza salutare. Mia madre. Mia madre che fino ad allora non si era mai interessata a me aveva deciso all’improvviso di farlo. 

Pensai a lungo. E pensai che un favore così grande, fatto sicuramente per il mio bene, dovesse essere ricambiato. 

La notte dopo, entrai in camera sua con in mano un paio di forbici, le più grandi che avevo trovato. 

La guardai a lungo. 

Impugnai le forbici e sollevai il braccio. Nella mia mente passarono tutti i momenti nei quali mi aveva detto che non andavo bene per come mi vestivo. Che non sarei andata da nessuna parte. Le attenzioni che non avevo mai ricevuto. Mi toccai i capelli. Così pochi, così sottili. Tanto diversi da quelli di mia madre. Feci un respiro profondo. 

Li tagliai. Tutti. Erano a terra. 

Ora era solo una donna. 

Non era più mia madre.

Leggi anche