La notte in cui congelarono Walt Disney

1966

La cattiveria è una malattia? E quindi, se è una malattia, possiamo curarla? 

Walt ci sta pensando da un po’, ma non trova risposta. E come al solito quando non trova risposte, gira la domanda ai suoi disegni, a cui si dedica per ore come in trance, perdendosi in una possessione mistico-artistica; disegni che avrebbe poi consultato e interpellato come un indovino dell’antica Roma che cerca risposte tra le interiora di una papera. 

O, nel suo caso, in quelle di un papero. 

Quando la sua mano finalmente si stacca dai fogli e la sua coscienza riprende il pieno controllo, si alza per guardare dall’alto tutta la scrivania. 

Riesce solo a dire: “Mio Dio… che ho fatto?”

L’intera scrivania e tutto l’ufficio sono pieni di fogli in cui il suo maggiordomo è disegnato mentre viene crudelmente seviziato da Paperino, brutalmente squartato da Qui, Quo e Qua, preso a male parole da Gambadilegno, Orazio e Clarabella, e altre violenze gratuite assortite. 

Perché la sua fantasia gli sta facendo questo? 

Walt sente il cigolio del carrello del tè del suo maggiordomo che attraversa il corridoio. 

Si affretta a raccattare tutti quei fogli, li accartoccia e li butta con furia in un cestino, prima di schiacciarli più volte col piede. Si mette in posa a sfumacchiare davanti alla finestra, nel tentativo di darsi un tono e un volto sereno. 

Cerca il suo riflesso sulla vetrata, e quando lo trova pensa che è proprio così che disegnerebbe una persona buona. Una persona totalmente priva di quella brutta malattia chiamata cattiveria.

La pesante porta dello studio si apre. Il maggiordomo entra con il carrello del tè.

Il suo tè, signor Disney.

Grazie, Alfred. 

Dovere, signore.

È un tè appena tiepido, Alfred.

Certamente, signore.

Non avrai aspettato a servirmelo subito caldo per paura che si ripetesse l’incidente dell’altra volta?

Assolutamente no, signore.

Perché l’altra volta è stato un incidente, vero?

Sì signore.

Mi è scivolata la mano all’altezza del collo e ti ho versato del tè bollente all’interno della camicia causandoti ustioni di quarto grado.

Giustappunto signore. Un incidente. 

Così come mi sono scivolati anche i biscotti dalle mani, che ti sono caduti in testa ferendoti a un occhio e causandoti il distaccamento della retina.

Sbadataggini che possono accadere dopo una dura giornata di impegni, signore.

Vero: avevo passato tutto il giorno a disegnare degli esploratori in Africa intenti a osservare uno straordinario esemplare di scimmia dotata di un culo con la forma esatta della tua faccia.

Una trovata niente male, signore. Un altro successo Disney.

Alfred, chi prendo in giro. Sono marcio dentro. C’è cattiveria in me e non riesco a curarla. Ho provato con medicine di ogni tipo: intrugli, pasticche, iniezioni, erbe mediche, riti voodoo, sedute spiritiche con esorcisti, iniezioni di sangue prelevato da missionari in India. Niente. Non guarirò mai dalla cattiveria. 

Lei è una persona buona, signor Disney.

Non è vero! Urla Walt, prima di lanciargli il posacenere in testa, quello ricavato dal teschio del figlio del maggiordomo.

Tutto quello che sto facendo, tutto questo mondo zuccheroso, ciccipuccioso, fatto di topi parlanti e paperi danzanti, tucani canterini, fate, pinocchi e cenerentole, tutto questo è costruito per azzittire la parte di me che vuole il male, Alfred, vuole il male, ed è come una bestia fetente. Come quelle divinità egizie beccute e insaziabili, sempre a pretendere sacrifici di carne fresca sul proprio altare. Non è così, Alfred?

Lei ha un cuore d’oro, signor Disney. In questo preciso momento sta portando sollievo e sorriso ai bambini di tutto il mondo. Bimbi che cresceranno con valori positivi, diventeranno uomini giusti e creeranno un mondo migliore.

Dio, quanto mi fai schifo, Alfred. Tu e la tua saccente piaggeria, la tua retorica fricchettona e cannarola. C’è un solo modo per rendere migliore il mondo, ed è impedire al genere umano di posare gli occhi sulla tua flaccida faccia!

Walt si avventa sul maggiordomo pugnalandolo con la matita, che però gli si spezza in mano sbriciolandosi a terra.

Si calma. Dopo essersi ricomposto, sistema con ritrovato affetto la giacca del maggiordomo.

Alfred, perché sei così buono? E se mi facessi una trasfusione del tuo sangue? Pensi che diventerei buono anch’io? Potrebbe funzionare?

Abbiamo già provato, signore.

Davvero? Non ricordo.

Forse questa cattiveria di cui soffre le offusca i ricordi e le occlude la coscienza spazio-temporale.

 Gesù, è terribile. Bisogna subito fare qualcosa. E se mi facessi una trasfusione del sangue di tuo figlio?

Mio figlio è morto, signore. Ma verrà il giorno in cui l’umanità troverà la cura contro la cattiveria, signore.

Già.

Non vorrà che si dica di lei: Walt Disney, inventore di Topolino, appassionato di cattiveria?.

Per la tuba di Zio Paperone, certo che no!

Allora mi segua, signore.

Il maggiordomo accompagna a grandi passi Walt Disney in un corridoio buio, nero e tetro, poi gira la testa di una gargolla di pietra che ride della miseria umana. Una parete mobile si apre mostrando un passaggio segreto avvolto da lenzuola di ragnatele.

Dove mi porti Alfred? Attento alle scale!.

Walt Disney spinge Alfred giù nell’abisso. Si sente la colonna vertebrale frantumarsi sugli scalini.

Perdonami Alfred, come ho potuto essere così sbadato?

Non è colpa sua, signore, ma della sua malattia. 

Già, la cattiveria.

Può ancora curarla. Sospira Alfred, accartocciato a terra con pezzi di ossa che gli escono dalla livrea.

Che devo fare?

In quella bara luminescente che vede è possibile congelare le persone. Ci entri, e si faccia scongelare nel futuro, quando avranno trovato una cura contro la cattiveria.

Alfred, tu stai morendo dissanguato. Hai molteplici fratture in più punti della colonna vertebrale.

Non si preoccupi per me, signore. Si adagi. Si congeli.

Chi ha autorizzato questo laboratorio neurobiocriogenico in casa mia? 

Questa non è casa sua, è casa mia, dove lei si è insediato con la forza e la violenza.

Ah, già.

Questa è un’invenzione del mio secondo figlio. Di mestiere congela le persone e le risveglia nel 2064.

Mi dispiace per quel coccodrillo che mi è scivolato dentro il letto del tuo primogenito.

Si congeli, le dico.

Alfred, come potrò mai ringraziarti?

Curi la sua cattiveria, ecco come mi ringrazierà.

Alfred, congeliamoci insieme! Nel 2064 ti riaggiusteranno la schiena e saremo ancora io e te, come Cip e Ciop, Paperino e Paperina, Orazio e Clarabella…

Walt afferra Alfred per una gamba e lo trascina con sé nella crio-bara congelante.

Il maggiordomo mugugna i suoi ultimi lamenti di protesta. Grazie al congelamento istantaneo delle ghiandole lacrimali, nessuno lo vede piangere.

Duemilasessantaquattro, stiamo arrivando! (dal vetro risuona una risata malefica).

2064

La pesante porta dello studio si apre. Il Cyborg Maggiordomo entra spingendo il carrello del tè.

Il suo tè, signor Disney. 

Grazie, Alfred. Non avrei più bisogno di alcun maggiordomo, ora che altri robot soddisfano ogni mio desiderio. Teoricamente dovrei licenziarti, ma non posso perché, sai, da quando prendo le pasticche per la cattiveria…

Ora è davvero una persona buona, signor Disney.

Già. eppure…

Eppure?

Guarda i miei fogli, Alfred. Non so più disegnare.

Un effetto collaterale della bontà?

Prima la penna nella mia mano era come la bacchetta di un maestro d’orchestra. Disegnava armonia, Alfred, armonia! Adesso sembra una penna attaccata alla coda di un cavallo. 

Interrompa immediatamente la sua cura, signor Disney. 

Alfred, dici davvero?

Dico davvero.

Ma così tornerò a farti del male.

La sua arte è più importante. 

La mia arte è il male!

Getti via le pasticche e mi colpisca con quella mazza da golf.

Ma Alfred…

Non si preoccupi per me, il mio nuovo corpo metallico può assorbire qualsiasi colpo.

Alfred, pensi che abbia bisogno del male? Di questa cosa che chiamo malattia, di questo buio che mi completa, senza il quale non sarei più io, senza il quale sarei un yin senza yang, un Topolino senza Gambadilegno, un Pl…

Non cincischi e mi colpisca!

Subito!

Walt Disney infierisce più volte sul suo cyborg maggiordomo. Poi torna a disegnare. 

Alfred, guarda. So disegnare!

Un volto sfasciato, come le ferraglie di una Trecentotredici dopo un frontale, sorride soddisfatto. 

È bellissimo, risponde Alfred, reso cieco dall’ultimo swing.

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