«Quando l’umanità scoprì le Galápagos, già vi risiedevano i gechi e le iguane e i ratti del riso e le lucertole e i ragni e le formiche e gli scarafaggi e le cavallette e gli acari e le zecche, per tacere di enormi tartarughe terrestri». Così comincia il romanzo di Vonnegut che dà il nome a questa rivista: sarebbe bello non aggiungere altro.
Quando, alla seconda birra, tormentandoti le pellicine, confessi che stai mettendo in piedi una rivista, almeno quattro sopracciglia si alzano e ti viene somministrata una massiccia dose di pacche sulle spalle; qualcuno, mosso da compassione, si alza e offre il terzo giro. Sul tavolo si addensa una nube, cominciano a piovere espressioni come “ma cosa ci guadagni?”, “ma che sbatti c’hai”, “ma tipo non ce ne sono già mille?”, “ma perché?”, “ma perché Galápagos?”. Sono tutte obiezioni giuste, ed è difficile rispondere in modo esatto, o perlomeno soddisfacente. Trincerato dietro ai bicchieri vuoti, azzardi un: «ragazzi perché quello che ci viene offerto non è abbastanza, perché non vogliamo rassegnarci al provincialismo e agganciare il dibattito letterario e culturale italiano a quello europeo e internazionale». Ti rendi subito conto di aver dato una rispostina retorica e arrogante, che strattona la compassione dei tuoi amici come un cane l’orlo dei pantaloni. La vera risposta, che ti viene in mente troppo tardi, dopo che hai salutato e ti stai infilando in metropolitana è un’altra: Galápagos non nasce da tremendi perturbamenti interiori, né da una grandiosa visione utopica. Sappiamo però che ci sono tante persone, tanti animali, che varrebbe la pena osservare più da vicino. Molti di questi animali sono autoctoni, altri invece, esotici; ne abbiamo sentito parlare, li abbiamo intravisti: perché allora non allargare le sbarre del nostro serraglio e farli entrare? Se c’è una cosa che (più o meno) ancora funziona nell’editoria italiana è lo scouting dal basso. Aspiranti autrici e autori si fanno notare sulle riviste con la speranza di essere pescati dalle case editrici. È un meccanismo virtuoso, ispirato al valore letterario più che all’appeal commerciale. Una rotella lucida incastonata in un ingranaggio inceppato. Ora, perché questo non dovrebbe funzionare anche per gli autori stranieri? Perché dobbiamo incontrarli solo dopo che sono stati tradotti dalle majors editoriali? Esisterà un luogo, lontano, alla fine del mondo, dove autrici e autori, italiani e stranieri possono convivere, comunicare, combattere, emergere ed evolversi? Ecco la vera risposta, la sbatto in faccia a un signore seduto davanti a me, lo vedo scivolare in fondo al vagone e precipitarsi fuori dalle porte alla fermata successiva. Non importa. Perché Galápagos? Immaginatevi allora di naufragare, dopo anni di sbatacchiamento oceanico vi arenate sulle rocce nere e viscide di un arcipelago. Incrostati di sale, strisciate verso l’entroterra in cerca di vita. Vi imbattete in creature tremende. Vi imbattete in zanne, squame luccicanti, becchi, artigli, lunghi colli rugosi. Quello che avete trovato non è quello che stavate cercando, pazienza. A poco a poco imparate a conoscerle, vi divertite a classificarle, lo straniante diventa familiare, le zanne non sono poi così affilate; quello che sembrava uno scoglio abitato da mostri diventa casa vostra, il clima è mite, c’è acqua per tutti e l’aria salmastra che batte la costa è un balsamo per i polmoni.
Immaginatevi soli, nudi, circondati da mostri, nelle isole alla fine del mondo: mai stati così felici.