Midjourney: anche i pittori vanno in paradiso

Il giorno in cui toccò anche a me conseguire una laurea, esattamente dieci anni fa, nessuno tra parenti o amici pensò bene di mettermi in testa la corona di alloro. Io stesso non ci pensai. Abituato a considerare alcuni segni sintesi efficaci di eventi più complessi, ho letto, in questa piccola mancanza, quanto tutti gli invitati ritenessero quell’evento meno “aureo” di quanto la tradizione suggerisse. Non tanto per la reputazione intellettuale del laureando in questione (giusto una tacca sotto un lemure), più che altro – credo – per una comune disillusione circa quello che una laurea mi avrebbe portato in dote. E, peggio ancora, perché il titolo era in “arti dello spettacolo”, e mi avrebbe aperto i cancelli di un settore perennemente vessato da sfruttamenti, diseguaglianze, difficoltà di ogni genere e sorta, balcanizzato in guerre fra bande sociali e clan di appartenenza.

Questo aneddoto strappalacrime, solo per sottolineare come viviamo in un momento storico che, per incensanti rivoluzioni, ha trascinato e sta trascinando il mondo del lavoro e (parlo per ciò che conosco di più) le professioni artistiche verso un impoverimento che pare inesorabile. Ora, non voglio semplificare troppo un discorso che, per una sua complessità intrinseca, dovrebbe essere affrontato con tutt’altra profondità analitica. È chiaro anche ai miei occhi che additare unicamente la rivoluzione tecnico-scientifica dell’indebolimento generalizzato e diffuso della dignità del lavoro sia miope. Tuttavia, è innegabile che, dietro al progressivo annientamento di tanti mestieri e altrettante forme d’espressione della creatività, si nasconda la trasformazione digitale in cui siamo immersi. Una rivoluzione che ci ha cambiati e ci sta cambiando sia nell’hardware che nel software (per dirla in termini appropriati), sia negli aspetti più quotidiani e bassi che in quelli più impercettibili, alti e sofisticati. Gli strascichi sociologici e antropologici, che già ora cominciano ad emergere, saranno certo più chiari a chi si occuperà di analizzarli col tempo e nel tempo. Ciò che possiamo fare adesso è riflettere sui cambiamenti mentre questi si affastellano gli uni sugli altri.

Mentre contribuivo ad impaginare in una cornice grafica l’esperimento della Lettera d’amore (racconto apparso in questa rivista e illustrato da Midjourney: un’intelligenza artificiale sempre più utilizzata da artisti e scrittori come strumento grafico) mi domandavo, da pittore e illustratore, come dovessi pormi in relazione a un elaboratore arbitrario di immagini digitali. In sintesi, l’esperienza proposta da Midjourney mi trova scettico e diffidente. Non ho ancora una posizione netta e chiara riguardo alle intelligenze artificiali tout court, ma, per quanto riguarda l’elaborazione del pensiero artistico, esprimo un’ostilità di fondo. Il software delega la creatività esclusivamente a un calcolo algoritmico. Non è prevista un’emotività che trova la sua grammatica e la modifica anche attraverso il vissuto e le esperienze quotidiane. Sono scettico anche perché “l’esperienza Midjourney” sembra andare a tutta velocità in direzione della privazione del lavoro, e quindi anche del sostentamento dell’artista. Questo perché il lavoro del programma presume la gratuità, o comunque un’estrema economicità della spesa. Certamente lo mette in concorrenza con i suoi rivali in carne ed ossa, già fiaccati dalla digitalizzazione e costretti, coloro che ci riescono, ad abbassare ulteriormente le pretese economiche. Ancora non siamo a uno stadio così avanzato: il livello e l’approssimazione delle elaborazioni, per quanto molto suggestive, non consentono un’effettiva concorrenza. Tuttavia, già me li vedo gli editori, i produttori, i committenti, che strizzano l’occhio all’interfaccia, una volta tirate le somme dei preventivi.

Sia chiaro, non ho solo parole ostili per questa esperienza. Midjourney consente a chiunque di lasciarsi suggestionare da fusioni, crasi iconografiche, ricordi e sintesi provenienti dall’intera memoria digitale distillata in elaborazioni spesso curiose e interessanti. È una buona spinta al gioco, all’allenamento dell’immaginazione. Ciò a cui mi oppongo è che, silenziosamente, il software acquisisca la dignità qualitativa, artistica e professionale di un vero e proprio artista. Il mio potrà sembrare un tentativo zoppicante, poco approfondito ed eccessivamente emotivo. È quanto meno il punto di vista autentico di un laureato senza corona di alloro, che cerca di convogliare la propria creatività in una professione, per la necessità un di sostentamento e per il bisogno di vedersela riconosciuta con dignità. In questo, spesso, l’innovazione tecnologica e digitale ha creato scenari nuovi, mondi nuovi, terremotando, maciullando e ribaltando, senza fare prigionieri, chi non si adeguava rapidamente. Spero non si arrivi alla sostituzione scientifica della mano del pittore o del disegnatore con l’esperienza di Midjourney o simili. E, semmai dovesse succedere, per via del bisogno di riconoscimento che qualunque artista porta in tasca seppur con imbarazzo, mi auguro per lo meno che ci sia concesso il paradiso.

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