Quando qualcuno mi chiede cosa deve fare per esordire, dico sempre: scrivere sulle riviste, o ancor meglio fondarne una. Quasi sempre la risposta è uno sguardo stranito, come se la mia fosse una provocazione. Non lo è. E non solo perché è più facile fondare una rivista che scrivere un buon romanzo (farla vivere e prosperare, quello è più complicato, certo). La questione riguarda anzitutto lo scouting letterario: è ancora diffusa la credenza che per arrivare a una buona casa editrice le si dovrebbe inviare un manoscritto, il che equivale a mettersi in calzoncini corti fuori da San Siro nella speranza che passi Zhang (o Scaroni) e ci faccia un triennale da cinque milioni l’anno. In realtà, nella maggior parte dei casi, sono gli autori a venire trovati dagli editor, e gli editor li cercano sulle riviste.
Ma non solo: scrivere sulle riviste, o ancor meglio averne fondata una, dimostra alle case editrici che siamo in grado di nuotare nell’aspro mare letterario anche da soli, e che saranno quindi minori le probabilità di finire stritolati da un sistema che è sempre stato un tritacarne, e lo è ancor più oggi che i meccanismi della distribuzione ne hanno accelerato in modo esasperato i processi, accorciando di conseguenza la vita attesa di ogni libro, a meno che non funzioni subito. Far parte di una rivista, in genere, garantisce la presenza di una “rete di sicurezza”, composta da altre persone interessate alla nostra scrittura, che potrebbero ospitarla, presentarla, commentarla, e far quindi sì che il nostro libro d’esordio non vada malissimo. Il che non corrisponde a far sì che vada bene, ma è già un primo passo: “Guarda ‘sto tizio, che scrive sulle riviste X e Y e ha fondato la rivista Z,” si dirà l’editor o il direttore editoriale, “magari se lo pubblichiamo non sarà un completo bagno di sangue.”
Ma le riviste non sono solo vivai o palestre. Qualche anno fa, fu proprio una rivista – Verde – a ricordarmelo, dicendo “Palestra? Una sega!”, parole che parafrasavano il nome di una nota rassegna letteraria sotterranea che avevo avuto la ventura di fondare (ecco un altro suggerimento per l’aspirante autore: organizzare rassegne letterarie) per rivendicare la ragion d’essere delle riviste in quanto tali, se non il loro ruolo di avanguardie. «Chiamateci dojo», concludevano quelli di Verde. Avevano ragione, così tanto che usai le loro parole in chiusura di un libriccino sull’insegnamento della scrittura.
La cosa davvero importante, al di là di ogni considerazione relativa ai meccanismi dello scouting e a quelli del lancio (che pure esistono), è che per l’aspirante autore è fondamentale entrare in contatto con una comunità letteraria – e, se non la trova, crearsela. Perché sarà attraverso questo passaggio che arriverà a uno dei sensi profondi della letteratura: come aveva a dire Bolaño in una frase che mi piace sempre ripetere, i capolavori sono come sequoie o orchidee, ma non si è mai vista una sequoia o un’orchidea spuntare da sola fuori da una foresta o da una giungla. Le comunità letterarie, che possono essere riviste come rassegne o cenacoli di ogni ordine e grado, sono quella foresta. Contribuire a tenerla viva è già una buona ragione per scrivere; e, a quel punto, pubblicare o non pubblicare un libro, farlo prima o farlo poi, sarà una questione secondaria. Perché sarà scontato che prima o poi – quando sarà il momento – avverrà senza bisogno di forzare i tempi.