Ricompense di Jem Calder

A non sapere che i trentenni se la passano piuttosto male, non è rimasto praticamente nessuno. Meme, trend di TikTok, racconti: ogni tipo di contenuto a riguardo gioca su quanto sembrino un disastro le loro vite di adulti che non sanno come fare a crescere. A un certo punto la generazione Y ha sentito l’esigenza di esplicitare questo disagio, e così ha scoperto di brancolare nel buio. In letteratura l’autrice che ha affrontato di più questo tema è senza dubbio Sally Rooney, indicata sulle fascette di molti libri come modello di riferimento per lo struggimento interiore dei trentenni. Non si può negare in effetti che esista un prima e dopo Rooney, e Ricompense di Jem Calder ne è l’ennesima prova.

Un aspetto interessante di condurre una vita che non ti piace affatto è: quando ogni giorno è peggio del precedente, quando non hai motivo di sperare nel futuro, il passato in confronto diventa sempre più bello; sembra addirittura migliorare, a dispetto delle premesse dell’immutabilità. (pag. 147)

La raccolta di racconti è abitata da giovani adulti che devono destreggiarsi tra scelte di vita più o meno definitive, smottamenti emotivi e complessi rapporti interpersonali. La struttura del libro ricrea perfettamente lo straniamento e il senso di precarietà di ciò che narra. I due personaggi principali, Julia e Nick, non si esauriscono nello spazio di un racconto, ma sono presenti in cinque testi su sei. Inizialmente, sembra che la loro storia abbia detto tutto ciò che doveva fin dalle prime battute, e che il centro narrativo sia altrove, ma è soltanto un inganno ben congegnato. Pagina dopo pagina risulta più evidente il gioco delle parti messo in scena dall’autore: chi è protagonista della propria storia successivamente diventerà un personaggio più o meno secondario della storia di qualcun altro, e viceversa. Così le vite degli altri si sfiorano, si mescolano e poi con estrema facilità spesso si dividono. Forse tuttavia quello che conta di più è il modo in cui avvengono questi intrecci. Per lo più, uomini e donne vagano sulle app di incontri per distrarsi dalla tristezza, fanno incetta di swipe e poi si danno appuntamento soltanto per essere sicuri che non sia lì ciò che stanno cercando, come controprova della propria solitudine. Le persone così diventano utenti interscambiabili che sfilano secondo il volere dell’algoritmo sotto occhi assuefatti: ogni ragazza bionda si somiglia, tutti gli uomini con la barba sono uguali, è un continuo esercizio di sovrapposizioni. Gli utenti poi tornano a essere persone con un passato a cui guardano malinconici, un futuro verso cui non girano gli occhi per paura del buco nero che potrebbe risucchiarli e un presente in cui riescono a vedere solo ciò che non va come dovrebbe. Nello stesso presente, si ritrovano incastrati in lavori che non vogliono davvero, intenti a recitare un ruolo a caso pescato dal mucchio: il capo affascinante, la fidanzata accondiscendente, il collega simpatico. Diventa sempre più evidente lo scollamento dal mondo che i personaggi si vedono scorrere davanti, fuori e dentro lo schermo, e il bisogno di capire dov’è che dovrebbero collocarsi. Insomma, preponderante e prepotente nella narrazione è la realtà filtrata attraverso la lente deviante della dimensione digitale. Mentre alcuni racconti tratteggiano in maniera particolareggiata cose, persone e luoghi, altri invece restano più asettici nella forma, riprendono più volte espressioni quasi formulari, riproducendo così perfettamente la sterilità del mondo digitale che, uniformando e appiattendo ogni esperienza, influenza la vita vera, quella dall’altra parte dello schermo.

Chi sei quando nessuno ti guarda? O almeno, quando pensi che nessuno ti guardi, quando sei abbastanza sicuro di non avere nessuno alle spalle che possa sbirciarti lo schermo? (pag. 159)

Non pochi sono gli interrogativi che emergono nel corso della lettura, ognuno diverso ma sempre riconducibile a quello che sembra essere il solo e fondamentale quesito chiave: chi sei quando nessuno ti guarda? Quando non devi necessariamente sorridere alla telecamera, e fingere di avere solo giornate degne di nota, a prova di foto esteticamente appaganti, pronte da postare. Quando puoi essere la versione peggiore di te, quella che nessuno scorge, proprio in quel momento chi scegli di essere? In questa raccolta, Calder, senza cadere in facili pietismi, descrive perfettamente il mondo interiore dei Millennial, non ha la pretesa di rispondere ai loro quesiti esistenziali, forse non gli interessa nemmeno farlo, ma riesce a palesare perfettamente come i suoi personaggi siano sempre alla ricerca di una ricompensa emotiva, di una forma migliore da assumere per vivere forse non proprio sempre felici, ma quantomeno contenti di essere chi sono.

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