Roberto Bolaño: luoghi, luoghi comuni

L’appuntamento è per le 10.30 in carrer del Tallers 45, una viuzza nel centro di Barcellona a pochi metri da Plaza Catalunya. Nervoso, preoccupato, penso al peggio. Sandro non risponde più al cellulare, figuriamoci alle mail. Anche Piero non ha sue notizie da giorni. Piero è l’unico amico italiano in comune che abbiamo. È con Piero che ho l’appuntamento ed è con Piero che sono partito per questo viaggio verso la costa Costa Brava. Che ci faccio qui?  

Sandro ha settant’anni e da dieci sta a Barcellona. A svernare, dice. Insegnava letteratura moderna a Pavia, ora è in pensione. Ha un brutto carattere, ma non al punto di sparire dalla circolazione. Anzi, ha una voglia di vivere grossa così, credo. Un paio di mesi fa avevo un pezzo da  consegnare a Galápagos e nessuna idea. Gli scrivo una mail che più o meno dice : «Ciao Sandro, senti devo parlare delle case, dei bar, dei ristoranti, delle vie, dei luoghi dell’anima di qualche scrittore; farci una specie di itinerario letterario. I tuoi consigli sono sempre graditi. Un abbraccio». La risposta arriva dopo qualche ora: «Mi viene in mente solo un nome: Roberto Bolaño. Ho anche delle foto che potrebbero interessarti. Fammi sapere». Segue una seconda mail «rileggiti Anversa». In allegato, una foto della prima casa di Bolaño a Barcellona. 

Bolaño alla finestra della sua casa di Carrer de Tallers a Barcellona (Archivio Bolaño).

Qualche giorno dopo, il 26 febbraio mi pare, arriva un’altra mail ancora. Dentro ci sono una fotografia scannerizzata fronte e retro e un commento: «Questo è il bar di quartiere dove Bolaño andava a sbronzarsi. Lì una volta ho incontrato una donna catalana, bella e intelligentissima. Abbiamo passato tutta la notte a parlare di Heine e Pascal». Per l’ultima mail ho dovuto aspettare settimane: «Caro Lorenzo, oggi c’è un sole caldo come se fosse primavera inoltrata. Sto andando in Costa Brava, a Blanes. È dove Bolaño ha vissuto dall’ 85 fino a quando è morto. Starò qui pochi giorni. Ti lascio qualche altra foto scattata da me». Sono tre, con descrizione e indirizzi. Poi, per settimane, più nulla. Silenzio: nessun messaggio, nessuna mail. All’inizio ho pensato c’entrassero il sole e la solita voglia di Sandro di girovagare. Così ho lasciato perdere. Poi la prima chiamata, senza risposta, e poi altre chiamate senza risposta e diverse mail dai toni sempre più preoccupati. Alla fine esco di testa e chiamo Piero. Anche lui aveva perso le tracce di Sandro da qualche giorno e anche lui era molto preoccupato. Così sono saltato su un aereo per Barcellona. Il rendez-vous con Piero era il il giorno seguente, il 5 aprile.

Lo aspetto sotto casa di Bolaño. Fumo una sigaretta dietro l’altra in questa piazzetta pentagonale dove sfociano cinque piccoli vicoli del quartiere Raval. Sulla casa c’è una targa di bronzo, davanti a me un via vai di turisti italiani e inglesi che gironzolano con sguardo vitreo, aumentando notevolmente il mio quoziente di nervosismo. 

Targa commemorativa dedicata a Roberto Bolaño sulla strada Tallers di Barcellona (Proprie)

Quando vedo Piero arrivare sto  pensando a come potrebbe essere morto Sandro – infarto? ictus? rapina finita male? Ho controllato le notizie e non   c’è niente su un vecchio italiano morto ammazzato. Deve essere stato sicuramente un malore. Mentre Piero mi allunga la mano faccio in tempo a chiedermi «chissà com’era questo posto nel ’77 (cioè quando Bolaño arrivò qui dal Cile)?».  Andiamo al Cafè Centric per discutere il da farsi. Il bar si trova nel portone a fianco l’entrata della casa. Entriamo e ci sediamo alla “barra”: il locale è minuscolo e pieno di gente, l’arredamento pare non essere cambiato molto dagli anni Settanta.

«Secondo te che che cazzo gli è successo?»

«Possiamo chiedere se qualcuno si ricorda di lui. So che veniva spesso qui», mormora Piero mentre attiro l’attenzione dei camerieri.

Eccome se se lo ricordano! Ridendo, ci raccontano dell’ultima volta che l’hanno visto: ci dicono che  è stato tutta la sera a bere vino rosso in compagnia di una donna. Una molto affascinante, ci tengono a precisare, una di quelle che ti mangiano. E ridono, e mi fanno andare fuori di testa. Ridono per la differenza di età, perché la chica, dicono, avrà avuto quarant’anni in meno e se n’è andata con lui a fine serata; la Bella y el Viejo. Guardo Piero, ha gli occhi stanchi e incasinati. Usciamo senza dire niente, sappiamo già cosa fare: metterci a fumare una sigaretta e disperarci. Tutto quello che abbiamo sono un pugno di camerieri arrapati che giurano di averlo visto prima che sparisse. Allora arriviamo all’unica conclusione possibile: andiamo a Blanes. 

A sinistra, il biglietto da visita di Roberto Bolaño. A destra, Bolaño a Blanes, Foto Archivio eredi Roberto Bolaño (ARHRB)

Prendiamo il lentissimo treno delle 12.24 e in due ore siamo in Costa Brava. Usciamo dalla minuscola stazione di Blanes sudati fradici – l’umore è quello di chi è stato convocato all’obitorio per riconoscere il corpo del defunto. La strada per arrivare al paese non aiuta: cemento, tralicci elettrici, medie industrie, palazzi popolari che ti fanno pensare più che altro a Sesto San Giovanni. Non spiccichiamo una parola, il nostro piccolo corteo funebre si trascina davanti al fruttivendolo che ho visto tra le foto di Sandro. «Carrer de Cristòfor Colom, 30, dove Bolaño aprì un negozio di gioielli. Ora, come puoi vedere, al suo posto c’è un fruttivendolo». 

Bolaño di fronte al suo negozio di gioielli a Blanes in Costa Brava (Archivio Bolaño)

In mezzo secondo stiamo già torchiando il fruttarolo, che ha la pelle cotta dal sole e non si ricorda di nessun vecchio italiano. Bestemmiamo tutti e due: fare i detective selvaggi nel 2023 è roba da scemi. Sicuramente è il caso di chiamare la polizia. Ci sediamo in un bar inPasseig de s’Abanell, un altro dei luoghi che Sandro ha fotografato. 

Fa tanto caldo, beviamo della sangria ghiacciata e siamo ridotti male e ci mancavano i sensi di colpa. Incuriosito dai nostri musi lunghi e dalle bestemmie, il cameriere mi mette una mano sulla spalla e si siede di fianco a me: «El viejo. Lo vi aquí hace unos días, estaba escribiendo en un papel y parecía preocupado». Ma come preoccupato? Questo vuol dire che è tutto vero, che qualcosa è successo, che Sandro è in pericolo. E cosa stava scrivendo? Il cameriere va avanti a parlare, dice che continuava a guardare fuori e sospirava e che sembrava o che qualcuno lo stesse guardando o che fosse in attesa. Io mi sto scarnificando le unghie e ho finito le sigarette, cerco di non perdere la ragione e gli chiedo se c’è  altro, magari un indirizzo, un numero di telefono, qualsiasi cosa. Niente da fare, forse il suo collega, ma non assicurava niente.  Il sole ormai è andato, noi siamo stanchi e sporchi e decidiamo di fermarci a Blanes per la notte, tanto ci sono delle stanze proprio lì accanto al locale. Ci squagliamo sulle sedie del Bar S’Abanell e scoliamo una birra dietro l’altra, come autorizzati a prenderci una brutta sbronza. Mi rendo conto che non ho parlato con Piero di nulla, come se fosse un fantasma che mi ha seguito per un giorno intero. Allora intavolo uno stupido discorso: parliamo di letteratura, di quanto sia infame il mestiere dello scrittore o peggio del giornalista, di Bolaño, «ci credi che si beveva le birre qui, che proprio qui ha scritto 2666?». Parliamo di calcio naturalmente, della Juve, e del suo anno tremendo. Lui, che è interista, inizia a punzecchiarmi. Io rispondo a tono, forse un po’ troppo. Iniziamo a scaldarci: le birre sono tante e il calcio punta dritto alle viscere facendoci gridare. Mi alzo di scatto, mi allungo verso Piero e gli punto il dito dritto in faccia sputacchiando bestemmie. I suoi occhi pietrificati e bovini sembrano non guardarmi, ha paura. Continuo a urlare e forse sto esagerando, ma lo sfogo mi fa bene, oltre che la sua faccia di marmo mi manda fuori di testa. Il filo di voce che gli esce dalla bocca è incomprensibile, riesco soltanto a vedere le sue labbra balbettare qualcosa… «S-S-Sandro». Guarda dietro di me e il pallore del viso fa luce. Mi giro al volo: a una ventina di metri da noi, una figura di spalle sta guardando il mare. Ha i capelli bianchi con un po’ di pelata sulla nuca, non è tanto alto, porta una polo blu. Urliamo il suo nome ma pare non sentirci, abbiamo il vento contro. Molliamo lì le birre e tutto e gli corriamo incontro, ma lui si è già mosso verso un ristorante affacciato sulla spiaggia a pochi metri e lo vediamo prendere il lato destro della veranda che ci copre la visuale. Corriamo più forte, tutti i “Sandro” che urliamo ci fanno mancare il fiato. Quando passiamo il ristorante Cal Tony ancora intuiamo la sua figura, ma la sabbia sembra un pantano e il vento ci risputa in faccia le nostre urla. Superiamo il gabbiotto del ristorante e quello che vediamo è sconcertante. Una spiaggia lunghissima, deserta, il mare sulla destra e il marciapiede sulla sinistra. Tutto qui. Non siamo pazzi. 

Ubriachi sì, ma entrambi concordiamo subito nel dire che quello che abbiamo visto era reale, una persona in carne e ossa, anzi Sandro in carne e ossa. Guardo Piero, a entrambi prende un attacco di ridarella isterica mentre torniamo nella stanza in Passeig de s’Abanell. Una cosa è certa: Sandro è stato qui. Non c’è traccia di lui né al bar, né in tutti gli altri luoghi bolañeschi che ha fotografato, ma quelle fotografie sono l’unico indizio che ha lasciato prima di sparire. Ci svegliamo alle otto del mattino e scendiamo al bar a fare colazione. Mangiamo una tortilla e facciamo quattro chiacchiere con il barista che lavora di giorno. Gli parliamo della nostra avventura. Lui ci guarda di sbieco e, come se fosse un attore ,recita le stesse parole del suo collega della sera: il vecchio l’ha visto pochi giorni fa, preoccupato, che sospirava ecc… Anche io recito la stessa parte e svogliato gli chiedo se per caso ha un indirizzo. Quasi mi sento male: ce l’ha. Un indirizzo, un vero indirizzo. Sandro gli ha chiesto di chiamare un taxi una sera che era marcio di alcol. Carrer de l’Aurora, 2, sono 600 metri da lì. Corriamo verso il vicoletto e per la seconda volta ci viene da ridere. Forziamo la porta. Non è stato molto poetico, non come mi ero immaginato. Una folata di odore di mozziconi mischiato a una fragranza dolciastra. I cassettoni erano sventrati e le lenzuola appallottolate e buttate sul pavimento. La stanza era abbandonata da un po’. Soltanto quando abbasso lo sguardo verso il fianco del divano mi accorgo di un paio di tacchi e un paio di sandali, numero 37.

Image Credits: Google Maps, Archivio Bolaño

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