Tutto brucia. Ricomincia gálab.

Se ogni tanto vi capita di pensare a chi scrive libri, e a come se la passa, la risposta è: molto male.

Ecco cosa frulla in testa a un giovane scrittore (GS) in una giornata tipo. Da quando apre gli occhi a quando chiude il computer. Pubblicherò? Con chi pubblicherò? Come andrà il mio libro? Non ho i contatti giusti. Nessuno recensirà il mio libro. Al Pam oggi e domani fanno il 3×2 sulla bresaola in vaschetta. Non ho letto abbastanza, non ho scritto abbastanza. Non ho abbastanza followers. Devo trovarmi un terzo lavoro, prima devo scrivere una serie per Netflix. Una serie che becchi tutti i trend: draghi poliamorosi, che se le danno con i grandi elettori di Sassonia. E poi vanno a letto insieme. Poi farò un romanzo di successo, poi uno per pochi, poi vincerò il Campiello, poi il Pulitzer. Perché non ho già vinto il Campiello e il Pulitzer? Ansie e ansiette che si infilano sotto le unghie del GS come schegge di bambù.

Il GS, come vedete, sta bruciando. Di che cosa brucia? Di brama, odio e illusione. Di insicurezza. Soprattutto brucia di speranza, che poi è la paura a testa in giù. Il GS, come tutti, vuole farcela. E brucia. Come si spegne questo incendio? Buddha direbbe: mediante il distacco. Staccarsi da tutte le cose, trattarle come un’illusione. Tanto poi si muore. Noi di Galápagos vi proponiamo un’umile alternativa: riuniamoci.

Qualche mese fa ci siamo riuniti tra di noi in un ampio bunker/sottoscala di fianco alla Statale di Milano. Con noi intendo una ventina di scrittrici e scrittori. Giovani e molto giovani. E ci siamo ascoltati. Ogni mercoledì sera. Per due mesi abbiamo letto qualcosa di nostro – racconti, paragrafi, pezzi di romanzi. Qualcuno ha portato delle birre. Qualcuno dopo aver letto aveva le guance accaldate. Dopo ogni brano ci siamo detti cosa ci piaceva e cosa no. Cosa funzionava e cosa faceva schifo. Tutto questo senza pagare. Senza iscriversi a un corso di scrittura. Senza fare dirette Instagram. Abbiamo imparato, spuntato qualche cliché, capito che quel personaggio diceva “cazzo” un po’ troppo. Ma quello che importa, almeno credo, è che per un po’ ci siamo sentiti parte di qualcosa. Qualcosa che nelle nostre vite individuali vai-in-ufficio-fai-qualcosa-e-sei-ore-dopo-esci, non c’è più. Ci siamo sentiti, anche se per poco, parte di una comunità. Una comunità con una narrazione e uno scopo: siamo scrittori e vogliamo scrivere bene. Da oggi, 15 maggio, torniamo a riunirci. Tutto il resto – pubblicheremo? Quando pubblicheremo? Venderemo? Quanto venderemo? ­– ce lo portiamo nel bunker/sottoscala e lo mettiamo in un angolo. E facciamo finta che non bruci così tanto. Almeno per due ore.

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