Le coste verdi della palma fremono al sole con un lieve rumore di carta stropicciata. Gonfie di riflessi, attraversate dal vento del mattino, sembrano lunghe dita affusolate che salutano. Faccio ciao con la mano alla palma ondeggiante, sorrido fra me, mentre fumo in balcone.
Vorrei confrontarmi con la primavera o accompagnarla, goderne prima degli altri. Ogni anno invece mi accorgo di lei quando ormai sembra che sia qui da sempre, che sia tutto normale. Forse vorrei solo dire “io c’ero”.
Nel mondo, intanto, si è scatenata una guerra. Laggiù, la stagione gentile verrà con le bombe. Ma non significherà niente, nulla più che uno scherzo. E quando tutto sarà finito, anche se eravamo stati attenti, forse guarderemo in alto e rimarremo delusi – tutto ci sembrerà normale, così da sempre. Poi tornerà l’inverno.
Dicono che inseguire la perfezione sia come cercare l’Eldorado: scaraventati nella giungla, deliranti; laggiù non esiste paradiso. Mentre mi vesto, dallo specchio mi guarda un ragazzo di ventitré anni che inizia a perdere i capelli. Ogni giorno, quel ragazzo ingoia una pastiglia per tenere sotto controllo una malattia presa in modo stupido. Il virus vive lo stesso: è semplicemente represso; intanto le medicine gli spaccano il fegato, gli avvelenano l’organismo, i capelli addio. Eppure la giungla comincia a diradare. È strano, ma nella selva adesso scintillano brevi intagli di luce, prima inesistenti. L’aria sta cambiando.
Bizzarra sensazione, la leggerezza. Gli alberi barcollano contro le case e contro il cielo turchese come grossi bambinoni assonnati che si stropicciano gli occhi. Fa ancora freddo ma chissà come – chissà da dove – i profumi che l’inverno aveva guastato lottano già per liberarsi. L’aria più calda. Tra non molto l’aria finalmente sarà più calda.
Leonhard Frank una volta ha scritto che Karl, un suo personaggio, aveva reso Anna, nella propria immaginazione, la patria che ognuno cerca presso un’altra creatura. L’unico luogo necessario alla vita – credo che Frank volesse intendere questo – è un’altra vita. Che possiamo riposare e costruire qualcosa di eterno soltanto in un luogo che può toccarci e parlarci; un luogo che nelle nostre mani, nelle nostre parole può ritrovare a sua volta il luogo da cui proviene, al quale segretamente vuole fare ritorno.
L’amore è qualcosa come l’ombra di un ricordo, l’onda di un profumo che ci sospinge indietro, attraverso il tempo, verso un luogo che abbiamo già abitato. Come la primavera, l’amore è essenzialmente un ritorno.
È marzo. La dolce stagione ancora di là da venire. Un freddo lunghissimo, senza senso… E così ritorno, mentre scendo le scale della metro; con la mente ritorno a tutti i luoghi che ho abitato in questa vita presso altre creature – li ho abbandonati tutti, ogni volta. Ma se le storie sono davvero tutte la storia di un ritorno, di un ricordo che risorge, allora, se anche non dovessi farcela a raggiungere casa, vi racconterei lo stesso del mare, dei mangiatori di loto.